venerdì 18 luglio 2008

Sul pubblicare e sulle opinioni circa i racconti


Qualcuno mi ha chiesto perché non propongo ciò che scrivo a un editore, e pubblicare.
Ebbene, una volta l'ho fatto. Il romanzo è quello famoso di cui spesso ho parlato: ottime idee, buona trama, orribile la forma. Chi l'ha letto un po' l'ha trovato bello. Ma non lo era, la forma era proprio terribile. Se quei pazzi me l'avessero pubblicato, mi sarei ritrovato con una reputazione artistica macchiata già in partenza. E io sarei rimasto insoddisfatto, deluso, arrabbiato, e non sarei migliorato tecnicamente.
Mai fidarsi di chi dice che il tuo racconto è bello senz'ombra di dubbio. Chi lo dice:
  1. Ha capito che il racconto è una mezza schifezza: sostiene che è bello perché non vuole aiutarti, e perché in questo modo se ne esce con la faccia dell'amicone.
  2. È un incapace che non sa valutare un'opera.
  3. È un lettore medio-normale che se ne frega di tecnica eccetera e si accontenta, senza sapere che là fuori c'è roba mille volte migliore. O forse l'opera merita davvero.
Inoltre, prima di abbassare la testa e scrivere un romanzo bisogna avere delle certezze. Non costruisco una casa se non so come si fa, se non sono un ingegnere, un architetto. Ma se sono un muratore, di sicuro avrò alzato qualche muro, sistemato qui o lì, e col tempo avrò imparato che non ci vuole una laurea in fisica per capire che costruire una casa sul fango non è cosa saggia.
I racconti brevi o lunghi non danno tutti gli strumenti per scrivere un romanzo. Per saper scrivere un romanzo, bisogna averne già scritto uno. Ma, alla fine, neanche questo è abbastanza, perché si possono scrivere tutti i racconti brevi e i romanzi di questo mondo, ma se fanno schifo e nessuno viene a dirtelo, non si migliorerà mai. Ecco perché scrivere è difficile. Ogni scrittore sa di migliorare col tempo, perché sperimenta, ascolta i consigli, compie degli sforzi. Ma non sarà mai abbastanza.
Bisogna avere la certezza di saper scrivere qualcosa di decente, per poter decidere addirittura di pubblicare.
«Ma in giro c'è già tanta gente che ha pubblicato immonde schifezze».
Questo è un motivo in più, secondo il mio personalissimo parere, per sforzarsi di fare di meglio. Come tutti gli scrittori, quando ricevo le critiche mi incazzo, ma non con la persona che me le fa, piuttosto con me stesso perché ho fatto certi errori. Prima di poter essere decenti, bisogna raggiungere la sufficienza, e la sufficienza è il non commettere errori, ovvero, bisogna almeno poter scrivere qualcosa senza infamia e senza lode. È un risultato notevole, vista la roba che circola nelle librerie - peggio dei delinquenti usciti coll'indulto. Quindi, a mio parere per poter scrivere bene non bisogna commettere errori prima di tutto, quindi ci si deve sforzare di fare cose meritevoli di lodi.
Il problema del migliorarsi, dopo tutto, sta nei "critici". Bisogna saper autovalutarsi, ma anche il giudizio degli altri è importante, perché rivela gli errori che noi non riusciamo a vedere; è un po' come usare una lente magica.
Tuttavia.
Mai fidarsi di chi sostiene che il tuo racconto è così così per non dire che è monnezza allo stato puro. Chi lo dice:
  1. Ha capito che il racconto è bello, e sa che può farci una figura di merda perché lui scrive schifezze.
  2. È un incapace che vede errori nelle idee geniali e viceversa, o inventa errori per il semplice fatto che un po' tutte le persone sono portate al confronto critico, perché così si sentono più importanti, prese in considerazione e perché dire: "Sì, è bello" in un certo senso vanifica le ore di lettura sprecate.
  3. Effettivamente ha ragione: se lo ha trovato brutto, magari non sapendo perché, be', c'è qualcosa che non va e lui l'ha intuito.
Lo scrittore deve saper filtrare i commenti, capire cosa può aiutarlo a migliorare e cosa invece può essere ignorato a priori. Io mi sforzo di fare così - ma, mon Dieu, è facile distinguere chi rosica da chi non capisce una mazza! -, e arrancando credo di migliorare ogni volta. Se si ammette di aver sbagliato e si capiscono gli errori, si passa a un livello più alto.
Gamberetta viene spesso insultata per il suo modo di criticare, ma chi la critica con ardore semplicemente si incazza perché sa che ha ragione lei. Tengo molto caro il suo giudizio (soprattutto perché non mi ha mai dato nessuna batosta in stile troisiano ^^), così come reputo prezioso quello del Duca, ma per quanto possano essermi utili, neanche loro potranno mai dare un giudizio oggettivo di un mio racconto, perché sono persone, e le persone sono tutte diverse, hanno dei gusti, hanno un modo di pensare diverso.
Uno può reputare vergognoso che il Personaggio1, a pagina 30 dotato di orologio, a pagina 31 chieda l'ora al Personaggio2. Ma qualcun altro potrà non curarsene, e dirà che l'orologio potrebbe non funzionare, o che non è regolato, o che a una pagina di distanza sia successo qualcosa che il narratore non ha detto ma che è trascurabile ai fini della trama, ecc. Insomma, tutti i "critici", oltre ai pareri oggettivi, possono avere pareri soggettivi, talora trascurabili, talora errati. L'importante è saper raccogliere le informazioni e sfruttarle.

Ora, ammettiamo che io abbia scritto tre-quattro racconti lunghi, decenti o belli, e voglia pubblicarli in un volume.
Ebbene, non lo farei. Perché?
Perché sono presuntuoso, lo ammetto sempre, e prima di gettarmi nella pubblicazione vorrei:
  1. Scegliere un editore coi controcazzi. Non mi ridurrò mai a pubblicare così - c'è più dignità con Lulu!
  2. Avere un mucchio di roba da pubblicare in futuro, in modo da poter ora scrivere quel mucchio di roba come si deve, col cervello, con coerenza, e con le palle, ovvero avendo in mente un piano ben preciso e fregandomene di correnti modaiole, di onde di fama pubblicitaria (si veda questo e questo: io non voglio fare affatto una fine simile.)
  3. Avere qualche anno di più: ho scritto il mio primo vero romanzo a 15 anni, nel frattempo avevo scritto centinaia di pagine di altri racconti. Più tempo passa, più m'informo, mi acculturo, miglioro. Che me ne faccio della gloria del "ragazzo prodigio", se poi quello che scriverò due mesi dopo sarà dieci volte meglio? È come mettere sul mercato un telefono che spara raggi laser, pur sapendo che ricaverei di più (sebbene aspettando un po') col telefono che oltre a sparare raggi potrà anche diventare coltellino svizzero e radar per mine. (Mio Dio, che esempio stupido che ho fatto! XD)
  4. Aspettare un po' di tempo per migliorare ancora di più, avere più tempo per scrivere e organizzare la rete di racconti. Quindi compiere 18 anni per gestire posta e soldi. XD Mi hanno detto che già ora sono più bravo di molti autori pubblicati: perché allora non diventare ancora più bravo e avere un ottimo motivo per pubblicare e vantarmi? XD
Credo sia tutto. Sono pigro; se ci sarà qualche aggiunta, edito il post. Spero di essere stato chiaro e utile.
Alla prossima ;)

P.S. L'immagine l'ho presa da questo sito, è semplicemente fantasy, e può accalappiare visitatori. Tutte le rogne burocratiche vanno al sito in questione, io non c'entro niente. ^^

martedì 15 luglio 2008

Informazioni estive


Appaio solo per dare alcune informazioni, a chi è interessato - chi non lo è si attacca. XD
Durante questa allegrissima estate (si nota l'ironia?), se dapprima sono partito in quarta a leggere, comincio a sentirmi stanco, scocciato, abbattuto; d'estate non dormo mai molto, vado a letto alle 2 e mi alzo alle 9, e il pomeriggio non dormo assolutamente. Quest'estate invece mi trovo più "depresso", e non disdegno un paio d'ore o anche più di sonnellino pomeridiano. Leggevo 150 pagine al giorno, ora a mala pena arrivo alla ventina.
In compenso sto scrivendo un racconto breve, mi arrischio a dire fantasy, ma potete definirlo come volete, psicologico, filosofico (sì, come no), tanto a me non cambia nulla.
L'idea alla base del racconto è buona, e personalmente, se fossi un lettore e dovessi dare un'occhiata alla quarta, non esiterei a leggerlo, e con piacere.
Mi arrischio ancora, accenno un qualcosa di simile a una trama:
Dorl, un giovane figlio di un tintore, vive da un mese nel terrore e nella paranoia, rinchiuso in casa, dopo essere stato aggredito da briganti che si aggirano nel suo borgo. Debole, codardo, decide così di dare un taglio a quella vita di vergogna, prigionia e terrore per recarsi al borgo vicino e imparare la magia da un incantatore; ma questi non si rivela un uomo saggio e comprensivo, e la stregoneria, scoprirà Dorl, potrebbe non sostituire il coraggio e la forza fisica. Ma le paure vanno affrontate, e i problemi eliminati...
Non sono molto bravo nelle "quarte di copertina", né a dare i titoli ai racconti. Spero però sia sufficiente. Finora scrivere è stata l'unica allegra soddisfazione; altri tipi di soddisfazione li ho trovati nel Long Island (che schifo) e un certo Ossigeno, simile al Curaçao.
Ma tranquilli, non sono così. XD

giovedì 3 luglio 2008

Sul Conte di Montecristo e altre cose che meritano menzione


Ho infine terminato la lettura del Conte di Montecristo di Dumas. Senza perdere tempo:
La copertina è molto bella (bisogna valutare anche queste cose). Peccato però che si è letteralmente staccata dal blocco intero di pagine - e mi è rimasto un mattone di fogli incollati ma privi della copertina.
Ma parliamo del romanzo.
Conoscete tutti la storia, suppongo. Non mi farò scrupolo di citare gli eventi (spoiler) che accadono all'inizio del libro.
Anzitutto, il 60% del romanzo è un di più. Dall'inizio fino a pagina 176 è un capolavoro, nonostante lo stile (lo dice anche Eco, è un bel romanzo con un brutto stile). Mi preme ora aprire una grossa parentesi sullo stile.
Non ci sono scuse: sebbene sia dell'800, l'autore ha uno stile spesso noioso, sembra insulti il lettore (Tucidide, più vecchio, è migliore).
  1. C'è un abuso inimmaginabile di "quantunque". Esistono anche "benché", "sebbene", "malgrado", "nonostante", però il traduttore (ma, io temo, l'autore) usa sempre la stessa parola, imperterrito.
  2. I dialoghi sono poco credibili, eccettuati alcuni punti grandiosi che si possono contare sulle dita di una mano. Ancora, sarà per il forte spirito francese di Dumas, ma tutti dicono sempre "Mon Dieu". O meglio, il traduttore (credo) ha riportato quell'esclamazione sempre nella stessa formula. «Eh, mio Dio...» dicono i personaggi, ogni due-tre pagine. Fossi stato io a tradurre, avrei sostituito con un Perbacco o Perdinci (si noti che "Perdinci" dovrebbe essere una sorta di "Per Dio", censurato ed entrato nel vocabolario)
  3. Il narratore dialoga col lettore, e non va bene. Ma vabe'. La cosa insopportabile è che il narratore ricorre a formule del tipo: "Non occorre dire che...", "È inutile dire che...", "È scontato dire che...", ma alla fine dice!. Se è superfluo, e lo ammette il narratore, perché deve dirlo?! È irritante!
  4. Ci sono avverbi a non finire, ma si sa, Il conte di Montecristo è un feuilleton.
I personaggi (lo fa notare anche Eco) sudano grosse gocce e cadono di peso sulle sedie. Ma, aggiungerei io, impallidiscono, avvampano ecc. di continuo. Ancora, reagiscono con un tale pathos a certi παθέμεια che io mi rifiuto di credere, davvero, che possano fare simili cose. Esempio. Qualcuno dice che qualcun altro è morto. Nella Bibbia (popoli pressocché primitivi) ci si strappava le vesti e ci si cospargeva di cenere il capo. Nel Conte di Montecristo la gente alza la testa e le mani al cielo, fa strane espressioni colla bocca, fa tante cose strane. Azioni degne della nonna salentina più bigotta del mondo.

Una nota che mi preme comunicare: ci sono pagine e pagine in cui si discutono situazioni finanziare incomprensibili, in primis perché non credo ci sia molta gente che capisce di luigi, scudi, ecc., ma, come se non bastasse, il narratore insiste nello spiegare astute manovre economiche di cui io, sinceramente, non ho capito una mazza (e non era nemmeno necessario capirlo, visto che era indifferente per il proseguimento della trama: zwiiip, da cancellare).
Non ci sono veri e propri colpi di scena. Tolti due o tre eventi, tutti gli altri sono scontati, diciamo; si intuiscono a decine di pagine di distanza. Ma l'inizio (fino a pagina 176) e la fine sono sublimi. La storia in sé è grandiosa, soprattutto l'inizio, il fattore scatenate, il casus belli, sarà per questo che nei film viene data maggiore importanza alla parte (paradossalmente) più interessante, ovvero i 14 anni di prigionia di Dantès nella prigione sull'isola d'If.
Il problema del romanzo è la lunghezza. Ma io ho già un'immagine di Dumas e il proprietario del giornale su cui pubblicava la storia.


Monsieur Alexandre sta seduto su una raffinata poltrona, in una mano gli fuma un sigaro, nell'altra qualche caccola. Lui ama fumare e scaccolarsi. Davanti a lui c'è l'editore, dietro una grande scrivania colma di roba.
«Monsieur Dumas...» dice l'editore del giornale. «Abbiamo letto l'inizio del romanzo e... ehm desidera un fazzoletto?»
«Non, merci beaucoup. Allora?»
«Sì, dicevo, ci piace molto quest'inizio, insomma, è davvero... uh là-là
«Oui.» Dumas dà una boccata al sigaro e fa qualche cerchio in aria.
«Ebbene, vi pagheremo [tot] luigi per ogni pagina.»
Dumas guarda l'uomo, flippa via una caccola, afferra il bicchiere poggiato senza contegno sulla scrivania e beve una lunga sorsata. Si asciuga colla manica e dice: «Di più.»
«Uhm... d'accord, [tot] luigi, non uno di più.»
Dumas rutta. «Bon, affare fatto. E questo giornale... esce ogni giorno?»
«Oui
«Uh là-là... uhuhuh.» Dumas fa qualche calcolo colle dita. Tot luigi d'oro per pagina, il giornale esce ogni giorno, tot luigi alla settimana, tot luigi al mese, tot luigi l'anno, più gli introiti e il guadagno per il teatro... gli occhi di Alexandre diventano due luigi d'oro. «Bon, Monsieur.»
«La storia ci è piaciuta molto, soprattutto la prigionia di Edmondo Dantès. Avete già scritto una scaletta... avete un'idea di come continuerà?»
Nella testa di Dumas frullano solo le tette delle donne con cui ha avuto le dozzine di figli illegittimi. Si risveglia, capisce la domanda, le tette si sostituiscono col povero Dantès in prigione, e poi pagine bianche. "Allora arrivano gli alieni, lo rapiscono..." comincia a pensare Dumas.
«Oh, niente alieni ovviamente» avverte l'editore.
«Merd... D'accord. Vi porterò domani le prossime dieci puntate. Sarà una storia mooolto lunga. Wuhahahahahah~...»

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Finito il Conte di Montecristo, ho cominciato a leggere questo libro di Bernard Wolfe, Limbo: Il sistema «IMMOB». Ebbene, citando nuovamente il Fantozzi della corazzata Potëmkin: «Questo libro è una cagata pazzesca!!»
L'inizio non dico che prometteva bene ma quasi. Poi ecco che arriva l'infodump. Ma vabe'. Poi ecco che arrivano le seghe mentali sulla lobotomia, il pacifismo ecc. Poi, se pensavo che quelle di prima fossero seghe mentali, no, mi sbagliavo!, non era niente. Bazzecole. Arriva la filosofia, la politica, la cibernetica. Io tollero tutto stoicamente. In pratica la storia avanza di un passo, poi si ferma per pensare a mille cose, quindi riprende e fa un altro passo, ma, ancora, si riferma e pensa. Il romanzo ha 400 pagine circa. A pagina 300 mi sono fermato: proprio quando la storia aveva preso una piega interessante, il protagonista scappa (si assiste a un'america cambiata, ecc., è bello) ma, forse mi è sfuggito il senso perché dormivo, forse perché pensavo alle tette, forse perché senza alcuna ragione e alcun senso, il protagonista ha qualche attacco psichedelico. Non so proprio come sia successo, ma comincia ad avere un fottuto flashback introspettivo, e dopo questo flashback (che proprio flashback non è, perché si mischia a visioni), arriva un'orgia mentale, pensieri sparsi, triti e ritriti, scritti in post-modernico o chennesoìo, insomma: CHE PALLE. Non ho mai interrotto la lettura di un libro, o, se è successo, l'ho poi ripreso dopo (o forse si trattava di una caso estremo). Questa è stata la prima volta. E ho fatto bene. Stavo solo perdendo tempo.
Ho cominciato i Demoni di Dostoevksj. Che bel respiro d'aria fresca! E dire che l'amico Fëdor era povero, miserabile, coi debiti, con lutti alle spalle, lutti davanti, gioielli averi e calzoni messi in pegno, perdite alle roulette, incubi, epilessia. Il più sfigato degli uomini almeno scriveva come Dio comanda.