lunedì 3 febbraio 2014

Impressioni | La foresta, di Joe Lansdale

 foresta joe la lansdale recensione romanzo the thicketL'ultimo di Lansdale, settembre 2013.
Si è fatto sentire, sul web, se ne parlava ovunque. Lo ha addirittura consigliato Zerocalcare, con tanto di vignette dedicate.
Di Lansdale ho letto poco, e ho scritto un'impressione quasi due anni fa su Flaming London. Il parere era positivo.
Ora però ho avuto a che fare con un Lansdale più "serio", e i nodi vengono al pettine.
Tralasciamo la trama (proprio in breve: ragazzo adolescente - gli muore la famiglia - gli rapiscono la sorella - quest per trovarla con tanto di party variegato stile gdr - fine). Il romanzo è veloce, ha un bel ritmo, è il suo punto forte è la mancanza di filler, propri degli autori anglofoni che allungano le parole per dilatare le cartelle e, di conseguenza, il portafogli.
L'andamento della storia è lineare, A → B → C, intervallati da resoconti dei personaggi relativamente al proprio background (la storia del nano, la storia dello sceriffo...).
Il POV è quello di Jack, il protagonista, e per fortuna è in prima persona, come dovrebbe essere: avevo parlato nella recensione di Oryx and Crake dell'assurdità dell'usare la terza persona quando la storia è concentrata sugli avvenimenti, i pensieri e le emozioni di un solo personaggio.
A questo punto se non avete ancora letto il romanzo fermatevi, vi fornisco subito il mio modesto parere da "consigli per gli acquisti": La Foresta è un romanzo di avventura/western, con forti note umoristiche che contraddistinguono la prosa di Lansdale, ma anche con momenti drammatici che, rispetto a quelli umoristici, hanno un impatto emotivo un po' più scarso. I dialoghi speculativi sulla vita, la morte, i massimi sistemi, fanno calare un po' il ritmo e la credibilità della storia, ma sono pochi e vengono compensati dalla velocità e linearità della narrazione. Nel complesso, una lettura gradevole della giusta "durata".

Bene, ora veniamo alla parte critica. Potrebbero esserci spoiler, occhio.
Nell'insieme, La Foresta di Lansdale mi ha dato l'impressione di un'avventura di D&D giocata e riscritta in stile Weis & Hickman.
Jack segue un percorso e incontra personaggi (npc?) che gli forniscono informazioni e/o si uniscono al gruppo (party?). Ognuno di loro ha abilità diverse (seguire tracce, mirare, forza, agilità...) che vengono sfruttate dal singolo personaggio che ne è dotato, mentre gli altri neanche ci provano. Il protagonista, per esempio, sebbene sia realisticamente incapace a sparare (è un ragazzino di campagna), durante la storia riesce a mancare qualsiasi bersaglio, anche quelli più vicini. WTF?
Alcuni possibili ostacoli posti sul cammino, invece, vengono aggirati senza tanti problemi; se per esempio i protagonisti perdono la strada e ci sono personaggi che potrebbero  indicargliela, le informazioni per la quest vengono ottenute senza alcuna fatica: è quasi possibile vedere il Dungeon Master che non tira nemmeno i dadi, ma chiude un occhio e facilita la giocata.
Come avevo accennato in precedenza, alcuni personaggi si lanciano in discorsi filosofici che suonano un po' inadeguati per il personaggio o, in generale, sembrano improbabili nel contesto. Per esempio:
- Hai ragione. Ma se vuoi fare quello che hai in mente, e dici che per te è importante ritrovare tua sorella, devi accettare le conseguenze delle tue azioni.
Come esempio è un po' stiracchiato (ed è solo un estratto di un più lungo monologo), purtroppo però non ho annotato i diversi punti. Può essere indicativo, comunque: a parlare è uno sceriffo, con un passato doloroso alle spalle, un tipo  non molto politically correct, per così dire. Uno da cui non ti aspetti "consigli" in cui ti invita a sviluppare la giusta consapevolezza riguardo alle proprie intenzioni e condotte. Una specie di guru-psicologo del far west.
Nella Foresta, se a scrivere fosse stato George Martin, probabilmente avrebbe ucciso metà dei personaggi.
Stephen King invece avrebbe preso gli ostacoli che già troviamo ma, a differenza di Lansdale, avrebbe creato tanto di quel conflitto da richiedere almeno un centinaio di cartelle in più per poter mettere le cose a posto. E ci scapperebbe qualche morto.
Invece Lansdale fa proseguire la storia in maniera lineare - e ciò è buono -, ma la linearità mi sembra anche eccessiva; una storia che prosegue senza intoppi, in cui il vero conflitto è ridotto al minimo e fa pensare al lettore: "Nella vita vera le cose non sono così facili". Gli avvenimenti drammatici si svolgono in fretta al solo scopo di giustificare la storia, piuttosto che per metterla in moto.
Ad ogni modo, come ho già detto, il romanzo è - a mio avviso - piuttosto buono. Come ho avuto modo di leggere in giro su qualche blog, quando prendi in mano un Lansdale sai che è assicurata una lettura spedita, vivace, che riesce davvero a intrattenere: caratteristiche indispensabili per la narrativa, nella maggior parte dei casi difficili da trovare.