giovedì 22 dicembre 2011

Libri che non finirò mai - dicembre 2011

Quando si tratta di leggere, a me non piace perdere tempo con letture pessime.
Mi sento preso in giro, noto tutti gli errori o le scelte infelici o i cliché e tutta la schifezza che ammorba la letteratura fantasy. E mi arrabbio, mi sale la pressione, tremo, mi scappano bestemmie, rompo qualcosa.
Dato che c'è gente più masochista di me, cioè persone che godono nel soffrire leggendo schifezze, persone come questo o quest'altro, lascio a loro l'ingrato compito di terminare romanzi scrausi.
Io mi avvalgo del diritto di "recesso dal contratto" entro le 40-50 pagine (o primo paragrafo).
Non sapendo come scegliere le letture, alcune le ho trovate in una lista di ebook scaricabili, per altre sono andato su Fantasy Magazine e ho cercato, tra le recensioni, quelle di romanzi col voto massimo.
Che gran criterio!

La spada del destino the witcher fantasy novel andrzej sapkowskiLa spada del destino, di Andrzej Sapkwowski.
Questa è la recensione di FM (4/5).
Avevo parlato, due post fa credo, di The Witcher il gioco. Avevo letto grandi cose del gioco e anche dei romanzi. Avevo notevoli aspettative.
Sebbene mi avessero avvertito, tra i commenti al post sopracitato, della qualità della scrittura di Sapkowski, ho continuato la lettura.
Ecco il voto che darei io stando a quanto ho letto:
Due stelle per lo stile: non è buono, ma è sufficiente a narrare una storia senza attirare su di sé la mia rabbia del lettore. Peccato per il resto.
I personaggi sono banali stereotipi fantasy. In realtà già il protagonista, Geralt, è una specie di Marty Stu, ma anche i restanti personaggi non offrono nulla. La prima storia è una caccia a un drago dorato da parte della compagnia di eroi. Uau! Candidato al nobel per l'originalità. "Ma è una scelta voluta, quella di sfruttare i più noti tòpoi del Fantasy!" Bella scelta di merda!
Altra cosa: i dialoghi, nonostante qualche As you know, Bob, sono poco al di sotto della sufficienza. Tutti parlano in modo un po' forbito, educato. Non c'è nulla di male, se non fosse che i personaggi non sono coerenti con ciò che dicono, cioè alcuni di loro sono assassini e guerrieri e maghi temerari, nani rozzi, e tutta l'osteria; le volgarità però sono volutamente evitate, e la credibilità già flebile rimane appesa non a un filo, ma a un capello. Non c'è motivo per cui continuare a leggere, ma in realtà neanche a non continuare.
In realtà ci sarebbe un motivo: sicuramente qualche lettura migliore, da cercare. Perché accontentarsi?


Greg Keyes il re degli alberi fantasyIl re degli alberi, di Greg Keyes.
Questa è la recensione di FM (4/5).
Conoscevo già la copertina di questo romanzo. Nel mio periodo di forte dipendenza da Fantasy lo avevo intravisto più volte in libreria, ma ero preso da altre letture.
L'ho trovato su un forum, e gli ho dato un'occhiata. Il mio voto?
Mezza stella. Non ho potuto leggere troppo, perché l'As you know, Bob mi ha privato della vita. Un estratto di pagina 3:
Thaniel per un attimo tacque, e quando rispose non usò il suo solito tono scherzoso. «Carsek, non ti conosco da molto tempo, ma insieme abbiamo massacrato i giganti vhomar al Guado del Silenzio. Ne abbiamo uccisi talmente tanti da fare un ponte coi loro corpi. Insieme abbiamo marciato nella pianura Gorgone, dove un quarto della nostra compagnia è stato ridotto in polvere. Ti ho visto combattere, conosco la tua passione. Non me la dai a bere. La tua gente è schiava da più tempo, è vero, ma è la stessa cosa. Uno schiavo è sempre uno schiavo e noi vinceremo, Carsek, brutto mostro dalle mani insanguinate. Quindi bevi questo e pensa a quanto sei stato fortunato ad arrivare fin qui.»
O ancora:
«Voglio questo e voglio quello! Anch'io vorrei una ragazza bella in carne, di nome Alis o Favore o Come-Posso-Accontentarti, seduta in grembo e che mi nutre di prugne. [avete letto bene, vuole che lo alimenti di prugne, NdTaotor] Vorrei dieci pinte di birra e un materasso imbottito di piume di cigno [ma non vi vuole la ragazza sopra, NdT]. Eppure eccomi qua, ancora immerso nel fango con te ["con te", lol, NdT]. Che cosa ottieni con tutti questi desideri? Riesci a vederlo il nemico?»
«Vedo campi che fumano all'orizzonte, anche sotto questa schifosissima pioggia. Vedo tombe-trincee che noi stessi abbiamo scavato. Vedo quella maledetta rocca, grande come una montagna. Vedo...» Vide un muro nero, che cresceva sempre di più a una velocità impressionante.
«Vento di lame!» gridò, rigettandosi nella trincea. Per la fretta atterrò con la faccia nel fango che puzzava d'ammoniaca e cancrena.
«Che cosa?» domandò Thaniel, ma proprio in quel momento anche il so-le grigio fumo sopra di loro scomparve e il suono di migliaia di spade su migliaia di coti venne a scorticargli il cervello. Due uomini, che non si erano abbassati in tempo, caddero nel fango, mentre dai loro colli ormai senza testa zampillavano schizzi di sangue.
«Un'altra dannata magia skasloi» disse Thaniel. «Te l'avevo detto!»
Nelle prime pagine non mi era chiaro neanche a chi appartenesse il pov, ammesso che vi fosse.
Ma la magia "vento di lame" è troppo superpowa ed è l'unico motivo che mi fa pensare alla possibilità di riprendere a leggerlo. Spero che vi siano altre idee così tamarre. Mi attizzano più di Zwei.
Nel forum di FM qualcuno paragona Keyes a Martin per la gestione dei pdv e per il modo cruente con cui toglie di mezzo i personaggi. Mah. Rimando il giudizio al futuro. Ma per il momento, "per me è no".


Mistborn Brandon Sanderson fantasy l'ultimo imperoMistborn - L'ultimo impero, di Brandon Sanderson.
Questa è la recensione di FM (4/5).

Questo l'ho trovato su FM e ho voluto leggerlo. Poi ho visto che l'autore era lo stesso che aveva terminato la saga della Ruota del Tempo di Jordan.
L'inizio non è coinvolgente, è noioso e approssimativo. Lo so, è difficile catturare l'attenzione del lettore in poche righe. Nessuno ha detto che sia facile. Certo, Abercrombie con The blade itself c'è riuscito, almeno per quanto riguarda me.
La noia di per sé si può sopportare, bisogna comunque dare una possibilità al romanzo, può sempre riprendersi.
Mi sono ritrovato davanti, però, degli infodump, che a essere buoni possono derivare dal pov del protagonista, ma non c'è nessun pensiero verbalizzato, per cui è difficile da credere. Si tratta di infodump banalissimo, ammazza-divertimento.
Il dubbio si può avere, quindi si potrebbe andare avanti per una ventina di pagine.
Ma perché perdere tempo? Mi ha annoiato: altri autori sanno catturare all'istante la mia attenzione, o con la storia o con lo stile narrativo. Non ci sono giustificazioni nemmeno per gli altri.
Per me è no.


warcraft richard a knaak il pozzo dell'eternità fantasyIl pozzo dell'eternità, di Richard A. Knaak
Con questo FM non ha nulla a che fare, fortunatamente.
Anche questo - insieme ai restanti due dell'immancabile trilogia - l'ho trovato in ebook su un forum.
"Eh grazie al cappero, tu ti cerchi la robba tamarra dei videogiochi, è normale che poi fa schifo"
Cose simili non dovrebbero essere scontate: se si vuol pubblicare un romanzo - non un fumetto, di cui almeno ti godi i disegni -, deve essere decente, che sia ispirato a un gioco o a un film. Non è mica scandaloso pretendere che un romanzo sia accettabile al di fuori dei gusti personali del lettore!
Questo romanzo si può benissimo cestinare senza leggerlo.
Un ottimo criterio di valutazione di un brano è osservarne la struttura "tipografica"; insomma, la pagina. Mi pare lo dicesse anche King, ma non ci metterei la mano sul fuoco.
Una pagina fitta rivela qualcosa che non va, non respira, evidentemente è pesante.
Una pagina frastagliata, dinamica, ricca di capoversi, può rivelare un ritmo incalzante, un'economia di parole.
L'inizio del Pozzo dell'eternità è un grosso infodump con pov libero, una telecamera fluttuante in stile Quel ramo del lago di Como. Una schifezza, molto simile allo stile degli autori di fan fiction o degli scrittori Fantasy che non hanno mai scritto niente.
Una panoramica delle prime due pagine del Pozzo dell'eternità. [cliccare per avere l'immagine un po' più grande]
Grazie al cielo, o meglio, al mio Opus, non ho dovuto spendere un centesimo per constatare quanto fossero brutti (o non adatti ai miei gusti, mettiamola così) i libri sopraelencati. Certo, prima di comprare un libro si può sempre darci prima un'occhiata, ed è la stessa cosa.
Per quelli nel cellophane invece la scelta è più semplice: si eliminano a priori.

lunedì 19 dicembre 2011

Impressioni | Soffocare, di Chuck Palahniuk

soffocare choke chuck palahniuk romanzoSoffocare (Choke) è un romanzo di Chuck Palahniuk, l'autore di Fight Club - gran film. Come succede spesso, Palahniuk, sebbene sia famoso, è ricordato principalmente per il film Fight Club. Non che non gli sia riconosciuto il genio narrativo, ma sembra che prima venga il film cult, poi lui.
Palahniuk è un autore geniale. Mi dispiace constatare che su internet ci sono aforismi in stile Fabio Volo o Oscar Wilde, non so se avete presente, quella roba vuota che vuol essere piena di significato, che la gente prende e ci fa i link su Facebook per sentirsi profonda e complessa come se l'avessero inventata loro, per crogiolarsi un po' nella gloria altrui.
Dicevo, Palahniuk è geniale. Non si possono fare aforismi o particolari citazioni, non per Soffocare, almeno, perché fuori dal contesto suonano a mio avviso frasi insulse, come l'ennesima banalità alla Volo.
Questo romanzo è un'opera bellissima che secondo me non può essere analizzata se non in maniera olistica - niente frammenti, brani, aforismi.

I pregi del romanzo sono diversi. Non ho trovato nemmeno una pecca, niente. Potrei sbagliarmi, potrei aver preso un abbaglio, ma così, su due piedi, al pieno (o almeno credo) delle mie facoltà mentali, posso dire che è un autore difficile da eguagliare: in alcuni punti mi affliggevo nel realizzare che trovate simili io non le avrei mai avute. O almeno, non così tante e in un solo romanzo.
Palahniuk è asciutto e chiaro. Le parole presenti nelle pagine sono essenziali, mai superflue, ma riescono a spiegare tutto in maniera precisa, con metafore, personificazioni.
C'è umorismo, ironia. Tutto ben riuscito.
Il narratore è il protagonista, quindi prima persona, al presente, che si alterna con flashback in terza persona. Libero di un narratore estraneo (sebbene, nei flashback, divenga un narratore intrusivo ma decisamente coerente col resto), Palahniuk dà il massimo, riesce a mostrare in maniera vivida e allo stesso tempo discutere di problemi umani, esistenziali, il nichilismo dell'uomo moderno, il tutto senza risultare noioso, ma coinvolgente e credibilissimo.
C'è da dire che un asso nella manica di Palahniuk sta nell'affrontare queste tematiche presentandole come i pensieri naturali del protagonista, che fuoriescono in maniera coerente in base agli eventi della storia. Molti di questi eventi riguardano il sesso, quindi l'attenzione del lettore è molto alta e così anche il coinvolgimento.
Il romanzo presenta anche una serie di nozioni mediche e psicologiche, ed è evidente che l'autore si è informato, fosse anche su un manuale di patologia, su Wikipedia, da un amico.
Il romanzo incarna tutto ciò che un autore dovrebbe essere e fare (onesto e informarsi).

Piccola parentesi sull'autore.
Palahniuk (potete leggerlo su Wikipedia) non faceva lo scrittore di professione, ha avuto diversi lavori, e la scrittura non c'entrava nulla. Ha seguito per puro interesse un corso di scrittura (è stato fortunato ad avere un insegnante bravo, e non il classico ciarlatano che scrive un manuale di scrittura senza avere idea di cosa stia facendo e credendosi un bohemien del '900). Ha buttato giù qualcosa, ha preso la mano e ha sfornato dei best seller coi controcavoli. La cosa divertente è che in un periodo ha scritto à la Stephen King, tale era la sua influenza su di lui, ma paradossalmente, al momento, nella mia classifica di geni letterari Palahniuk e King stanno seduti sullo stesso trono con mezza chiappa. Non credo che Chuck se lo sarebbe mai aspettato.
Chuck Palahniuk a scritto il suo primo romanzo a 30 anni (non a 13). Questo significa che geni si diventa, ma bisogna volerlo. E sfanculare tutti e gridare all'Arte Suprema senza apprendere la tecnica migliore non è la maniera esatta.

motivator manga writing you're doing it wrong

Un altro caso di scrittore attempato - e qui gli editori rabbrividiscono: se non ha 12 anni e non scrive fantasy non lo pubblico! - è quello di Sam Savage, l'autore di Firmino, unico romanzo che abbia pubblicato, per quanto mi risulta, ma che ha avuto un successo incredibile. Non si sa molto su quello che ha scritto in privato, io sinceramente non ho ancora letto Firmino, ma la morale è: non importa quanti anni tu abbia, non c'è limite all'apprendimento: impegnati e quanto meno non potrai fare schifo; nella migliore delle ipotesi potrai sfornare un capolavoro.
E non esito a dire che Soffocare è un capolavoro.

giovedì 15 dicembre 2011

Impressioni fulminanti | The Witcher

The Witcher pc game gdr rpg fantasy recensioneIl Duca lo aveva comprato appena uscito, se non ricordo male. Da come me ne parlava, sembrava qualcosa di splendido (e in effetti le recensioni sono state molto positive, al punto che The Witcher è annoverato come uno dei migliori gdr della storia).
Avendo momentaneamente un computer in grado di supportarlo, l'ho provato. Oltretutto avevo visto un teaser di The Witcher 2 - accattivantissimo, combattimento magico-sborone a parte - che mi ha persuaso.
Non sto a tirarla per le lunghe.
Il gioco è un action rpg. Sono andato a controllare su Wikipedia e anche Oblivion è un action rpg.
Eppure tra i due non dico che c'è un abisso ma quasi.
Insomma, The Witcher mi ha deluso un po'. Sia chiaro: ci sto ancora giocando, eh, ma una demo sarebbe stata più che sufficiente per farsi un'opinione e capire se ti piace o no.
Per chi non ci avesse mai giocato né lo conoscesse, The Witcher è un gioco di ruolo in cui si impersonifica Geralt di Rivia, uno stregone superpowa che sembra uscito da una copertina dei libri di Dragonlance o di Forgotten Realms. O, con l'aggiunta di un paio di tette, da uno della Troisi. La fama del gioco è dovuta all'ampia gamma di scelte che puoi fare durante la storia, per far andare gli eventi così come preferisci tu.
Ora, a mio avviso, il gioco perde tutto (vabe', dai, non tutto, molto) nel sistema di combattimento. Ho googlato la questione e ho letto, su qualche forum, che non ero l'unico ad averlo notato e non apprezzato.
Puoi scegliere tre tipi di inquadratura, due isometriche, con diverso zoom, e una in pseudo-terza persona. Il sistema di combattimento consiste nel cliccare una sola volta sul nemico e attendere che il personaggio (te) esegua l'animazione e attacchi.
Dov'è il problema?
Anzitutto, la pseudo-terza persona è solo una visuale stretta e laterale, abbastanza rigida, invece che alle spalle, dinamica e ad ampio respiro.

the witcher camera screenshot
Screenshot preso da Internet: non so se appartiene al primo The Witcher - pare di sì -, ma mostra la visuale in terza persona: il "perno" è il personaggio che rimane comunque di lato anche se si muove l'inquadratura

Ma la visuale di per sé non sarebbe un problema. Se non fosse per il sistema di combattimento.
I nemici vengono ad affrontarti non uno alla volta, ma in gruppo e, se sei in terza persona, devi beccare il nemico che hai davanti e cliccarci sopra, sempre se non si sposta o se non sei costretto tu a muovere la visuale verso qualcos'altro; in questa maniera il mirino e la visuale sono correlati e non puoi attaccare qualcuno e al contempo guardare altrove.
Per questo motivo è molto più utile la visuale isometrica.
Ma: il combattimento diventa sì più facile, così, ma estremamente noioso. Pur scegliendo la tecnica di combattimento Forte (invece che quella veloce, per più nemici), il combattimento si limita a cliccare una volta, attendere l'animazione, attendere che il cursore cambi per poter ricliccare ed effettuare una combo.
Non molto diverso da Farmville, insomma.
Lo so, i gdr sono così. Non per nulla mi chiedo cosa ci trovino di entusiasmante, alcuni, in single player simili:
Baldur's gate screenshot fantasy rpg gdr
Baldur's Gate, per molti il miglior gdr fantasy in assoluto. Amato dai più, apprezzato da tutti gli altri. Spiacente, io non lo reggo proprio. Forse un giorno cambierò gusti.

Non fraintendetemi: ho giocato per un po' a Ultima online, che è in tutto e per tutto un gdr a visuale isometrica coi combattimenti clicca-e-aspetta, mi sono divertito, ma era online. Non è la visuale isometrica o il combattimento statico a non piacermi (cioè, in realtà sì, non ne vado pazzo), ma il fatto che in un gioco in single player tutti questi ingredienti (almeno, a me) annoiano.
La differenza tra un action rpg come Oblivion (o Morrowind, o Skyrim, come volete) e uno come The Witcher consiste nel fatto che il primo si avvale di un certo grado di libertà di gioco e anche di immedesimazione (il personaggio virtuale cerca di scomparire affinché tu prenda il suo posto, per esempio in prima persona).
The Witcher invece gode di un sacco di possibilità per battere anche un Elder Scrolls qualsiasi, ma cade sulla staticità del combattimento (almeno per me) che rende il resto noioso, poco coinvolgente, macchinoso.
La prima impressione è stata questa. Tant'è che all'inizio del gioco, appena ho studiato un po' le visuali disponibili e il modo in cui dare addosso ai nemici, ho sospirato - afflitto - e ho pensato: "Ecco, ho 13 Gb di spazio da rimuovere".
Per il resto, il gioco è più o meno impeccabile. La gestione di oggetti, quest, abilità, mi sembra ben organizzata, molto familiare a eventuali amanti di Final Fantasy ma sicuramente meno complessa rispetto alle stregonerie di quest'ultimo.
Non mi pronuncio sulla storia, giacché è ancora presto. Certo è che per far ingranare il gioco bisogna sciropparsi una serie infinita di filmati. E appena c'è un po' di azione, ecco che fai due passi e via con un altro filmato. Fastidiosissime le quest "vai qui a prendere questo e quello", in cui se ti va bene trovi qualcuno da trapassare e il divertimento è finito.
L'interazione con gli scenari (oggetti, cose) mi pare limitatissima: puoi rovistare solo in poche casse o bauli, principalmente quelli che servono per la missione, non in qualsiasi mobile/contenitore ti trovi davanti (al contrario degli Elder Scrolls). Ed è strano, perché l'impostazione di raccolta e "deposito" di oggetti, pozioni e quant'altro rispecchia la parafilia dei loot whore. Ma potrebbe essere stata una mia impressione - e oltretutto il mio modo di giocare è tutto l'opposto, ovvero andare avanti diritto, muovermi come mi pare, fare stragi e non pensare a oggetti e mini-quest.

The Witcher è ispirato ai racconti di Andrzej Sapkowski. Inutile dire che mi sono procurato della roba da leggere. A un'occhiata veloce mi è parsa roba buona, ma rimando il giudizio a quando avrò letto La spada del destino, che è il primo libro che son riuscito a recuperare.
Ma questa è un'altra storia.

sabato 10 dicembre 2011

7 links project

7 links project bloggerC'è 'sta catena di S. Antonio che mi ha rifilato lo Psicopompo (mannaggia a lui) che si chiama 7 links project e, insomma, mi pare di capire che è una di quelle iniziative buone per il fuoco¹ nuovi post.
Però d'altro canto è anche una cosa utile, perché alla fine si tratta di stilare una lista di frequenze di visite a determinati post, con diversi attributi ad ognuno di esso. Cominciamo.

Il post il cui successo mi ha stupito
Probabilmente il post su Cast Away. Il film è magnifico, poi a quel tempo (avevo 17 anni) ero particolarmente sensibile al dramma esistenziale e tutto il resto.
Non mi spiego il perché di così tante visite (1,029, al momento). Forse per gli screenshot, ma mi sembra comunque strano perché al tempo non modificavo il parametro Alt="" delle immagini.
Però mi fa piacere. Si tratta comunque di un bel film, un bel tema. Se può sensibilizzare un po' di persone, tanto meglio.

Il post più popolare
Senza dubbio il rant su Manga e Anime. A Gamberetta era parsa una trollata in un primo momento, ma si trattava per metà di denuncia e per metà di sfogo anti-nipponico. Il grosso delle visite però (15.660 al momento) viene da un'immagine mangosa simil-erotica che avevo cercato random e messo a fine post. Quasi ogni giorno mi ha portato delle visite. Di recente devono averla tolta dal server. Sob.

Il post più controverso
Sicuramente quello della Marrone Giornata di San Valentino. E' troppo lungo e non mi va di rileggerlo. Ma per chi se lo fosse perso, è un flame nato sul forum di Fantasy Magazine, dove ero iscritto e di tanto in tanto attivo. Non ero polarizzato da alcuna parte e credevo davvero nella discussione costruttiva. Che scemo.
Mi ha fatto piacere, comunque, che in quella battaglia retorica (non richiesta) siano scesi in campo, al mio fianco, Gamberetta, Angra, il Duca, e altri, a fiammeggiante spada tratta, sia sul campo "nemico" (FM) che su quello amico (il mio blogghino), nelle retrovie o altrove.

Il post più utile
L'utilità di un post, in un blogghino di opinioni su narrativa, fantasy, musica e cinema, è relativa.
Su due piedi, rispolverando i vecchi post ho trovato una lettura estiva, questa, una piccola recensione sul Conte di Montecristo (+ un altro romanzo) e valutazioni sulla narrazione. Al Duca è piaciuto e a Gamberetta pure. Due ragioni più che valide per scegliere questo post.

Il post che non ha ricevuto l'attenzione che meritava
Senza andare troppo lontani, la carrellata cinematografica estiva. In realtà è anche un post utile. Utile a non scegliere film brutti e perdere ore preziose della propria vita.

Il post più bello
Non è che ce ne sia uno più bello. A mio avviso un post affascinante potrebbe essere quello di "Chirurgia Narrativa". Mi sembra bello perché non è una serie di regole o indicazioni astratte su cosa fare o non fare, come in alcuni manuali di scrittura o post di blogger sulla scrittura (io per primo ne ho scritti diversi, ahimè) ma si tratta di pratica. Quello è il racconto, quella è la versione peggiore e quella la migliore. Il perché è lì ed è chiaro, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

Il post di cui vado più fiero
La recensione di Drag me to Hell. Ed è anche uno dei post più letti (non troppo, in realtà: 527 al momento, contro le 638 delle impressioni di Black clouds & Silver linings dei Dream Theater, quest'ultimo letto da utenti coi controca...voli, che mi rendono orgoglioso). La recensione a quanto pare è divertente, soprattutto perché il film stesso è nonsense. E non dite che Raimi voleva far ridere, ché non ci crede nessuno.

Come ha fatto notare Gherardo, in pratica ora è il momento del cetriolo. Dato che il network di blogger è sempre quello, mi avvalgo del diritto di ridondanza. Quelli che linko qui, in teoria, sarebbero invitati a fare la stessa cosa che ho fatto io.
Orbene, il cetriolo lo infilo in...

-Zweilawyer [con tanta omo-libidine]
-Angra [sussurrando parole d'amore]
-il Duca [su un cuscino di velluto rosso]
- Il Sociopatico [di post ne hai tanti e sono pure fighi, dài, si può fare, prendi 'sto cetriolo]
-Okamis [hai ancora pochi post, ok, ma il momento in cui dovrai infilare il cetriolo arriverà]
-Simone [potrà esserti utile come sommario per le frotte di utenti novelli medici, a te il cetriolo]
-Gamberetta [in realtà non mi permetto; poso il cetriolo su un vassoio d'argento, lo do ai servitori del palazzo che te lo porteranno dopo averlo analizzato, dopodiché la decisione sull'utilizzo dell'ortaggio spetta a te]

Chi non è nella lista deve rallegrarsi. O gli voglio abbastanza bene da risparmiare loro questo supplizio, o non era opportuno (vedasi: blog privo di commenti, blog non aggiornato, blog con pochi post, blog privo di utenza, ecc...)


___
Note:
¹ Qualcosa che è buono per il fuoco dalle mie parti significa che non serve a nulla. Ora, non so se si usa anche in altre zone del sud Italia, ma mi pareva giusto condividere un cenno di antropologia culturale meridionale con voi.

giovedì 8 dicembre 2011

Impressione/Segnalazione: Korgoth of Barbaria

Fantasy comico umoristico Korgoth of Barbaria youtube Aaron SpringerDi recente sono in vena di segnalazioni, mi dispiace. Colpa del poco tempo e delle troppe cose da fare.

Dopo aver raccontato a un amico del "mitico" Age of Barbarian presentato da Zwei, l'amico mi ha ricordato una vera parodia barbarica.
Segnalo, non senza entusiasmo, questo Korgoth of Barbaria. Si tratta di un episodio pilota di una serie del 2006 che non ha avuto fortuna (= non si son fatti altri episodi, ce n'è solo uno, uno, mannaggia agli dèi!).
Questo è un link qualsiasi per la puntata completa su Youtube. Se ne possono trovare altre versioni, anche coi sub ita. Vi linko questa perché completa (ed è un inglese comprensibilissimo, ma vedetevelo come più vi aggrada).
Korgoth of Barbaria è, o doveva essere, una parodia dell'heroic fantasy, e del fantasy in generale. La componente violenta e raccapricciante è portata all'estremo. Orientata prettamente per un pubblico adulto, fa davvero ridere non solo per la componente fantasy, ma anche per le "gag" idiote che trascendono la mera parodia fantasy, gag linguistiche o pittoriche.
Sono sinceramente dispiaciuto che non abbia avuto fortuna. Tutta colpa del maledetto sistema, il vile danaro, la Macchina-despota.
Sono 22 minuti, potete vedervelo a colazione, mangiando un panino. Ve lo consiglio.

Korgoth of Barbaria screenshot

venerdì 2 dicembre 2011

Segnalazione: Il Teschio di Agarash (pdf gratuito) e Gdr da tavolo

The skull of Agarash, il Teschio di Agarash, pdf gratis, Joe Dever, Lupo Solitario, Lone WolfQualche sera fa stavo giocando a Monopoli, e mentre le lancette giravano, la mezzanotte arrivava e le palpebre si chiudevano, pensavo: Altro che Monopoli. Sai cosa sarebbe figo? Un gioco di ruolo da tavolo vecchio stile, tamarrissimo, senza l'impostazione complessa di D&D, qualcosa con carte e dadi, come il mitico HeroQuest.
Vagavo sul web in cerca di giochi di ruolo da tavolo da scaricare e stampare, per perdere un po' di tempo durante le feste con gli amici più coraggiosi.
Googlando sono arrivato qui, Arcan Myth, un gdr da tavolo gratuito, e ho scoperto questo, Stonehenge Webring. Si tratta di un'iniziativa lodevole: diffusione gratuita di giochi di ruolo, avventure e compagnia varia.
Ravanando nel campo, non so come, sono finito in qualche modo su una pagina Wikipedia in cui si parlava di un gioco di ruolo basato sulle avventure di Lupo Solitario (Lone Wolf), la mitica saga di Joe Dever - i librigame degli anni '90, chi non se li ricorda, con quelle copertine accattivanti?
Fantasy tamarrissimo allo stato puro.
Da qui, ho scoperto dell'esistenza di una graphic novel dello stesso autore, Il Teschio di Agarash, rilasciata gratuitamente per conto del Progetto Aon, col permesso dell'autore.
Da qui si può arrivare direttamente all'opera in pdf.
In un Paese in cui nulla è gratuito, gli autori sono degli incompetenti malefici che giocano a fare gli artisti e gli editori hanno il QI di un troll, mi sembrava giusto condividere con voi questa scoperta - forse ho scoperto l'acqua calda, chi lo sa.
Fantasy vecchio stile, forse fantatrash, forse semplice Sword & Sorcery. Ma i miti non muoiono mai.

mercoledì 30 novembre 2011

Segnalazione: Your Highness

Your Higness film fantasy comiciYour Highness (2011)
Mi preme segnalarvi questo film, uscito ad aprile tra gli anglofoni e credo non ancora disponibile in Italia. E se ancora non è uscito, immagino che lo distribuiranno direttamente in DVD all'insaputa di tutti - ma non di chi si scarica i DVD-rip.
Immagino che il film non abbia avuto l'opportunità di diffondersi a causa delle critiche negative ricevute (da quanto leggo sul web).
Il film mi è piaciuto. Si tratta di una idiotissima commedia fantasy, con la classica quest, creature strane, la bella da salvare, il mago cattivo, l'immancabile ganja ricorrente in certi film di David Gordon Green (regista di Pineapple Express, il film che in Italia è stato tristemente tradotto con Strafumati, in cui compare - tanto per dirne una - il mitico Seth Rogen, sceneggiatura firmata Judd Apatow, insomma, grandi nomi) e la presenza di James Franco e Zooey Deschanel dovrebbe, da sola, invogliare a dare un'occhiata.
A me il film è piaciuto. Il fatto che abbiano "conservato" volgarità e affini laddove si potevano evitare mi fa pensare - la butto lì - a una libertà creativa che raramente si vede nei film di tale produzione, in cui si tampona il possibile (censure varie, il politically correct) per poter rendere accessibile un film a un pubblico quanto più vasto possibile.
Sì, il film è idiota abbastanza e diverse parti sono davvero divertenti.
Consiglio di vederlo.
Con torrent ci mette due minuti.

giovedì 24 novembre 2011

Impressioni | Fondazione Anno Zero, di Isaac Asimov

Isaac Asimov fantascienza fondazione anno zeroPer il compleanno mi è stato regalato Fondazione Anno Zero di Asimov. La scelta è stata dovuta alla presenza di una scienza, all'interno del romanzo, la Psicostoria, che essendo "Psico-" poteva interessarmi, in quanto studente di Psicologia.
Ho già parlato velocemente di Asimov in questo post. Il parere, grosso modo, è rimasto lo stesso.
Nei racconti brevi sa il fatto suo.
In Abissi d'acciaio, insomma.
In Fondazione Anno Zero non è tanto diverso da Abissi, ma dato che non ho letto il Preludio e che è passata un'eternità da quando ho letto Abissi, il mio parere si basa esclusivamente sul libro in sé.
Su Anobii gli ho dato tre stelline, e c'è una ragione.
Asimov ha avuto grandi idee. Ha saputo svilupparle sufficientemente da poter farle arrivare al lettore, ma rimettendoci un po' quanto a stile.
Se da un lato Asimov, in Fondazione Anno Zero, non descrive i luoghi, gli avvenimenti, le persone, dall'altro, libero di tutto ciò, lascia ampio spazio al dialogo - al punto da occupare l'intero libro, dall'inizio alla fine, di soli dialoghi, per un 2-3% di narrato.
I dialoghi fanno scorrere la lettura, rendono tutto più facile e la comprensione istantanea. Il problema, però, è che tutto il resto è inesistente.
Asimov non mostra praticamente nulla, e neanche racconta. Lui fa parlare i personaggi, ogni tanto spara qualche infodump attribuito all'autore, all'interno di un capitolo passa da un POV all'altro senza pietà, e - attenzione, Spoiler - persino il finale è una prima persona incoerente con il resto dell'opera.
Lo stile, laddove abbandona il dialogo, ha lacune terribili. Prendo ad esempio pagina 114:
Erano in cinque, seduti intorno a un tavolo in un quartiere fatiscente del Settore. La stanza era arredata poveramente ma ben schermata.
Le lacune sono diverse. In primis, il POV (che in seguito si rivela incostante) appartiene a dei nuovi personaggi, che avranno vita breve nella storia. Il narratore parla di un quartiere fatiscente, ma non mostra nulla, neanche il quartiere. Dice che la stanza era arredata poveramente, ma non mostra nulla, neanche un mobile. La schermatura, poi, rimane solo un sostantivo vuoto in tutto il libro, così come Settore o Cupola. Non so se dipende dal fatto che ho saltato il libro precedente - mi pare che non siano strettamente collegati -, ma niente di tutto ciò è mostrato - né raccontato, in realtà. Il narrato si limita a un'introduzione necessaria per i dialoghi, che fanno da padrone.
La storia si estende per l'intera vita del protagonista, Hari Seldon, e ruota intorno alla Psicostoria (su questo ci torno dopo). Sebbene la lettura sia piacevole, a tutti gli effetti la storia non si sviluppa granché: solo il destino dei personaggi è un elemento degno di nota, mentre la Psicostoria e le sue conseguenza -attenzione, piccolo Spoiler - rimangono così, come all'inizio. Non c'è evoluzione effettiva.
I colpi di scena sono facilmente intuibili - a parte uno, che è praticamente un Gioco di Prestigio - per cui al lettore non rimane granché di cui sorprendersi.

La Psicostoria mi lascia molto perplesso.
Nel libro è illustrata come un modello matematico capace di prevedere il futuro "sociale" attraverso delle correlazioni tra equazioni.
In primo luogo, all'inizio Hari Seldon recluta solo matematici, al progetto. Il che è assurdo, perché pur volendo stabilire dei valori a dei costrutti sociali, è necessario un sociologo o qualcosa che abbia a che fare con le Scienze Politiche o la Psicologia Sociale. Invece solo - spoiler - a fine libro viene reclutato uno Psicologo - ma esclusivamente perché, ancora spoiler, è un "mentalico".
In secondo luogo, è risaputo che la correlazione non implica la causazione ("fuori piove, quindi rimango a casa" -> "rimango a casa, quindi fuori piove"), e che le tecniche statistiche usate, per esempio, in Psicologia (la Psicometria), presuppongono lunghi studi sui singoli costrutti, e dopo tante ricerche e prove empiriche su campioni di popolazioni, si possono ottenere tecniche utili alla misurazione più probabile.
Tutto sommato, però, la cosa che mi ha lasciato perplesso è stata appunto la scelta dell'autore di far lavorare, al progetto, gente che con la scienza che studia l'uomo e la società non ha proprio niente a che fare.

Dicevo che su Anobii ho dato tre stelline al romanzo. In effetti rispetto ad altri romanzi stilisticamente migliori, in Fondazione Anno Zero il danno stilistico è limitato alle parti narrate. La mancanza tecnica quindi non si sente troppo, perché è ridotta al minimo. Quanto ad ambientazione e dialoghi, questo romanzo potrebbe benissimo essere un copione teatrale,
D'altro canto, è pur sempre Sci-Fi: il limite del romanzo è che tende a uno spessore psicologico che però nemmeno sfiora, e si allontana invece da elementi fantascientifici che, invece, avrebbero potuto essere approfonditi.

lunedì 21 novembre 2011

Autopsia narrativa: Dogrhabaàl, di Zweilawyer

In questo post, il buon Zweilawyer ha pubblicato un racconto scritto circa una decade fa, per mostrare il suo "odio verso un determinato tipo di scrittura". Questo significa che Zwei riconosce di essere stato uno scrittore alle primissime armi, di aver fatto errori da dilettante, di essere migliorato e di saper distinguere il lavoro di un dilettante (anche il suo) dal lavoro di un maestro - per così dire.
Una preoccupante fetta della letteratura fantasy (e non solo) italiana (e non solo) contemporanea (ma anche no) è rappresentata da autori pubblicati che non solo scrivono male e non migliorano: addirittura ne vanno fieri e rigettano le "accuse" con una grande varietà di giustificazioni che, detto tra noi, dimostrano quanto sia più facile preferire la pigrizia, la disonestà intellettuale, e molto più semplicemente dimostrano di non capire dov'è il problema.
Mi sono permesso di editare l'intero racconto, grosso modo chiarendo le motivazioni di ogni modifica, errore, svista, scelte infelici ecc.
Alcune cose sono date per scontate (per esempio, il fatto che l'infodump sia un errore, che a qualcuno sfugge; per approfondimenti vedasi questo post del Duca - in continuo aggiornamento), altre invece sono approfondite. Alcuni errori ripetuti non li ho segnalati sistematicamente, ma si dovrebbero intuire.

Il parere generale sul racconto è il seguente: è colmo di una "poesia epica" da genio incompreso/scrittore alle prime armi. Ci sono frequenti cambi di pov che non hanno senso, informazioni intrusive nella storia, e via discorrendo.
Concordo con Angra, che cito testualmente dal suo commento:
.

Be’, ti dirò, lo stile è quello che piace agli editori fantasy italiani e ai loro fan, ma è decisamente al di sopra della media dei romanzi pubblicati. Potrebbe essere pubblicato, ma solo dopo un massiccio intervento peggiorativo da parte di uno dei loro valentissimi editor


Segue l'editing del racconto. Appena ho tempo lo carico in pdf, ma per il momento lo lascio copincollato.

===

DOGRHABAÀL


Nell’ampio salone di marmo e roccia nera regnava un silenzio inquieto [ossimoro: in poesia è ok, in narrativa difficilmente tocca gli animi, semmai distrae o non comunica nulla.]

Il buio era appena attenuato dai riflessi di grossi rubini scuri e dalla poca luce che

filtrava dai vetri scarlatti delle piccole finestre. Passi veloci lo percorsero come

avevano fatto decine di altre volte, fino a raggiungere la parete opposta, levigata

senza imperfezioni. [non è un reato usare gli aggettivi, ma vanno usati con parsimonia e con buonsenso: se non specificano bene o specificano cose già chiare (i.e: pleonasmo), si possono omettere; i dettagli narrati sono sparsi, e questo è dovuto al fatto che non c'è ancora un pov attraverso cui filtrare la massa di informazioni]

Dogrhabaàl allargò le braccia e proferì parole incomprensibili infra[m]mezzate [manca una M, lol] da

blasfemie, poi rimase immobile. [vada per le parole incomprensibili, non riproducibili testualmente, ma le blasfemie si potrebbero anche sapere, quindi mostrare] Uno scricchiolio segnò la riuscita del rituale [parere del narratore, che ora ci svela palesemente cosa sta succedendo]; pollice

dopo pollice la parete si aprì con uno stridio acuto accogliendo il curlong al suo

interno e richiudendosi con veemenza un istante dopo. Il corridoio era grezzo [cioè come?] e

scuro. Dogrhabaàl non lo attraversava mai con piacere. Era scavato con

un'inclinazione quasi verticale e portava dalla sala grande ad un antico [da cosa lo si capisce?] altare di pietra

lavica. Lungo il percorso non c'erano molte torce accese e quindi doveva tastare le

pareti almeno ogni dieci passi.

Non respirava, e quanto più proseguiva tanto più era costretto ad allargare [i]

polmoni per guadagnarsi un po' d'aria. C'era quasi… il lieve bagliore della cripta già

rischiarava il suo lungo abito sanguigno [non è un errore, ma vedasi avanti] e bastarono pochi istanti per sedersi su un

umido scranno marmoreo venato [aggettivi+3] di nero e di viola.

Di fronte a lui, sull’altare, giaceva una vasca di calcare ricolma di sangue. La

superficie esterna era coperta di geroglifici indecifrabili da un intelletto mortale[sigh], ma

terrificanti nella loro tortuosità espressiva. [andrebbe bene se ciò fosse il prodotto della mente di Doghrabaàl]

Per nulla turbato, Dogrhabaàl affondò un calice di giada nera nel liquido e lo

portò alla bocca. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, poi bevve. Non era la

prima volta che tracannava quel sangue demoniaco denso e acre, diverso da quello

degli uomini e dei curlong, infernale tanto nella consistenza quanto nel sapore. Nello

stesso momento le pareti rugose, la vasca e i gradini che portavano ad essa

tremolarono come avvolti dalle esalazioni del caldo estivo, poi sparirono, lo stesso

accade con il calice e con l'entrata della sala. Rimase solo lui, saldo sull'antico sedile, mentre la realtà spariva inghiottita da un

ignoto nero siderale. Ebbe l'impressione [?] di non potersi muovere [che ci provi!], come schiacciato da

un peso insostenibile e invisibile.

Quando aprì le palpebre si trovò di fronte a uno spettacolo incredibile che ogni

volta lo sorprendeva. Non si trova più nello spazio angusto di prima, ma in un

ambiente smisurato e scuro, fatto di proporzioni titaniche e odori sulfurei. [tante parole, nessuna immagine]

Davanti allo scranno si ergeva una doppia fila di colonne cineree, coperte di

incisioni in un linguaggio demoniaco, preumano, incomprensibile ma capace di

risvegliare i terrori più primordiali [di nuovo, fossero pensieri del protagonista, ci starebbe]: alte a tal punto che il soffitto si poteva solo

intuire, e fra di esse una nebbia umida rendeva impossibile vedere oltre una decina di

iarde.

Non era un luogo edificato dalle mani dell’uomo. [come prima]

Dogrhabaàl si alzò con cautela e si incamminò guardandosi intorno con

circospezione. Poteva udire grida e lamenti indistinti provenire da ogni direzione. Il

curlong aveva assisitito a decine di torture e ne aveva tratto anche un discreto piacere

delirante, ma quei gemiti provenivano da uomini cui l’anima era stata fatta a

brandelli. Per loro la morte non avrebbe portato nessuna requie, ma una miriade di

altri osceni tormenti. Il logoro pavimento di basalto era scivoloso [ne vogliamo le prove] e tremava senza

sosta, come scosso da una mandria di rinoceronti in fuga. [non è tanto assurdo, può starci]

Se l'aria nel cunicolo che portava all'altare era rarefatta, qui invece era marcia e

asfissiante come quella di una palude. Si trovava da qualche parte in profondità,

probabilmente nelle viscere di Onnar, dove l’aria era bruciante anche senza il sole e

la vita era morta [lol wut?]. La pressione cui era sottoposto il suo fisico aumentava ad ogni

passo e mani invisibili spingevano le sue spalle verso il basso. Resistette quel che

poteva, poi cadde con le mani sulle ginocchia [la forma è un po' triste, ma ho colto il senso] cercando di prendere fiato. La nebbia

fumosa non accennava a diradarsi.

Non aveva percorso neanche un passo in più dell’ultima volta, e già si trovava a

ricacciare indietro il vomito e la nausea, ben sapendo che il peggio doveva ancora

arrivare. Sentì chiaramente una presenza incombente, fatta di oscurità cosmica e

orrore [Cthulhu?], e comprese che il momento era giunto. Strinse i pugni premendoli sulle cosce,

mentre le ginocchia sanguinavano sugli spuntoni di roccia zigrinata che spuntavano

da terra.

Una voce, un ruggito basso, profondo, risuonò vibrando nella roccia fredda.

Seguiva le gocce lungo le fessure dell’antro facendole tremare.

Appesantiva l’aria già fetida lacerando i timpani.

Veniva dal buio.Dall’abisso.

«Dunque sei qui, stupido mortale.»

Dogrhabaàl fu scosso da un tremito, ma cercò di rimanere tranquillo. Fuori da

quell’abisso, solo pochi si erano arrischiati nel rivolgersi al curlong con quel tono

insultante, ed erano tutti finiti spellati vivi e immersi nel sale ad agonizzare per ore.

Ma lì era solo un servo, soggetto al potere di un essere superiore. [come prima, i pensieri sono del narratore, non del pg, e le informazioni fioccano da tutte le parti]

«Sono qui mio Signore, dimmi ciò che desideri.»

Qualcosa si mosse dietro la fitta nebbia. I contorni giganteschi di un essere [quali sono i contorni di un essere?] si

fecero avanti. Dogrhabaàl non poteva comprenderne la sostanza, né ricondurli a una

creatura di Onnar, ma di una cosa era sicuro: si trattava di un mostro osceno,

nascosto nell’ombra come una fiera in agguato.

«La mia progenie vive. La mia progenie uccide» ruggì l’essere, le sue parole

risuonarono in una lunga eco spettrale «una città degli uomini e migliaia di soldati

sono stati annientati e divorati dai miei figli. Sento gli occhi umidi delle loro donne e

il dolore lancinante dei loro cari. Mi nutro delle loro pene, hanno il sapore delizioso

delle lacrime e del sangue.»

Il curlong era giunto al limite della sopportazione, l’aria, sempre più rarefatta, si

rifiutava di riempire i polmoni. Per alleviare le sue sofferenze, gettò all’indietro il

cappuccio di pelle umana, sul quale si intravedevano ancora i tratti orribilmente

distorti di un volto fanciullesco strappato alla vita. Quello di Dogrhabaàl era invece

un abominio da curlong, con tre occhi giallastri più piccoli di quelli umani che

sovrastavano il naso schiacciato e un ghigno mostruoso fatto di denti conici e quattro

canini lunghi e acuminati, due sporgenti dalla mascella e due dalla mandibola. [il mostrato mi spiazza: se è del pov, ok, il curlong è l'essere, ma se descrive anche il cappuccio del pg, mi chiedo chi sia a guardare, e chi sia cosa]

«Sei dunque soddisfatto, mio Signore? Tutto sembra procedere per il meglio»

sibilò Dogrhabaàl muovendo freneticamente gli occhi nel tentativo di intuire la forma

dell’interlocutore.

«Tu osi parlarmi senza essere interpellato, dovrei calpestarti come un verme e

gettarti all’inferno» a quelle parole sottili spine di ghiaccio affondarono nelle

vertebre del curlong «ma non lo farò, e anzi risponderò alla tua domanda» il grugnito

si fece ancora più profondo, al punto che se ne potevano percepire solo alcune

sfumature.

«Finalmente alcuni uomini hanno capito che se vogliono portare avanti le loro

misere esistenze devono adorare me e non Tecrod. Sento il profumo di mille sacrifici

compiuti in tutto il mondo, le urla e le bestemmie, ma la maggior parte di quegli

esseri schifosi rimangono fedeli alle loro divinità. Finché non saranno tutti carponi

davanti ai miei altari, a sacrificare le giovani mogli e i figli tanto amati, io stringerò sempre più la mia morsa e tu, assieme ai tuoi luridi sudditi, dovrai fare lo stesso. E’

giunta l’ora.»

Per quanto Dogrhabaàl odiasse gli umani, i suoi sentimenti non erano paragonabili

a quelli che ogni volta palesava la crudele divinità. Un odio nero e cieco impregnava

ogni sua parola, e le continue pretese di altari insanguinati lasciavano presagire un

furore di pece che non si sarebbe mai placato. Ma ormai il tempo era giunto, tutto ciò

per cui si era preparato negli ultimi anni sarebbe iniziato di l[ì] a poco.

Tornò con la mente al giorno del suo risveglio [sono ricordi, quindi diciamo che va bene], quando il volere del dio lo aveva

strappato dagli abissi del tempo in cui si era perso da secoli. Ricordò l’improvviso

accendersi dei sensi, il caldo del sangue che tornava a circolare, il battito del cuore, il

suo braccio mummificato che si copriva di nuova carne ed epidermide, lo

scricchiolio dei dischi vertebrali che tornavano a flettere il dorso. Si era alzato dalla

sua tomba, da solo. Aveva mosso passi incerti all’interno della cripta, sempre guidato

dal fragoroso vociare del dio, ed aveva osservato curioso il proprio corredo funerario,

fatto di lucidi teschi, enormi tesori d’oro e argento e armi di ossidiana tempestate di

rubini. Dopo aver percorso un lungo cunicolo dalla sezione quadrata perfetta, si era

trovato fuori dal suo sepolcro, in una notte senza luna e senza stelle, fustigata da un

vento glaciale. [il riassunto ci sta bene, è un ricordo]

Dietro di lui, lo ziggurat di pietra nera che lo aveva ospitato per millenni sfumava

nel cielo, venato di fuoco, in un vortice di gradoni sempre più stretti. Non poteva

essere, non era, l’opera di uomini o curlong, ma di un’entità che poteva plasmare

miliardi di libbre di pietra e granito come fossero argilla, che non doveva fare i conti

con i limiti dell’ingegno e degli attrezzi umani. [di nuovo: chi è che afferma tutto ciò? Il narratore? Sì. Può risparmiarselo? Sì. Perché? Perché se il narratore spiega tutto la storia perde credibilità e un po' (molto) di fascino. Questo vale per il resto:]

Ai suoi piedi, una città silenziosa di rocce senza tempo, modellate dalla bora del

nord in forme grottesche, sicuro rifugio di bestie deformi e demoni antichi. Lì, ai

piedi dei monti Gawathor, il giorno non sorgeva mai, e per quanto il sole tentasse di

lacerare la spessa coltre di nubi plumbee, riusciva solo a colorarle di un cupo

scarlatto. Aveva atteso lì, ai piedi del suo mausoleo, mentre le ultime tracce della

morte fisica abbandonavano il suo corpo.

I mesi passarono come uno schiocco delle dita, senza lasciare traccia nella sua

mente e nella solitudine infinita di quella distesa rocciosa. Il vento gelido aveva

lasciato il posto a una pioggia incessante, tale da far pensare che una diga nei cieli

avesse improvvisamente ceduto, e proprio durante la tempesta, fra i fulmini

abbaglianti e il rombo dei tuoni, che si confondeva con la voce del dio, cominciarono

ad arrivare. Prima la tribù dei Zah-krol, la più becera e violenta [da qui in poi si chiama infodump], i cui guerrieri

cavalcavano gli abominevoli rinogrom, la cui pelle bitorzoluta era spessa quanto una corazza e i cui corni, posti sul muso famelico, potevano raggiungere i cinque piedi di

lunghezza; poi quella dei Badrhat, la più numerosa, assiepata su carri di legno marciti

dalle intemperie, che incespicavano sul terreno brullo dotati com’erano di ruote quasi

quadrate; e ancora gli Ugh-dhò, completamente nudi e incapaci di articolare qualsiasi

parola, che si esprimevano con versi animaleschi e si spostavano a piedi.

Ne arrivarono altre, provenienti da ogni angolo dell’Ulth-Baal, lo sconfinato

territorio che si estendeva a nord dei Gawathor, l’invalicabile catena montuosa che

separava i regni degli uomini dalle tribù dei curlong. [tutto questo è davvero infodumposo, ma non è finita:]

Una forza invisibile, una calamita demoniaca li aveva guidati all’altezza

vertiginosa dello ziqqurat, con la promessa di infinite carneficine e feste di sangue

umano. Nel giro di un mese, una miriade di curlong si erano accampati fra le rocce

contorte, accendendo falò negli anfratti più scuri e attendendo un segnale dalla figura

seduta sui gradini d’ebano che portavano all’ingresso della torre ciclopica.

Alla fine, spinti dai morsi della fame, i capi delle novantanove tribù si erano fatti

coraggio ed avevano raggiunto Dogrhabaàl con passi circospetti, interrogandolo sul

da farsi.

«Aspetteremo quanto sarà necessario aspettare» era stata la sua risposta. Lo

stregone aveva atteso per un anno, senza patire né fame né sete, segno evidente di

una condizione innaturale.

Non conservava che ricordi consunti della sua vita passata, anzi, a volte dubitava

persino di averne avuta una, ma più si avvicinava il momento, più i bagliori di

memoria si facevano nitidi.

L’antro oscuro, le parole di tuono, la figura feroce e smisurata dell’essere

immortale, tutto gli sembrava familiare e alieno al tempo stesso.

L’ombra nebbiosa [non è tanto per il fatto che prima c'era la nebbia fumosa e ora un'ombra nebbiosa, quanto per il fatto che la nebbia sta là, e l'ombra vi sta dentro; l'ombra di un oggetto distante dalla fonte di luce può essere “nebbiosa”, ma in questo caso il contesto è diverso] alta quanto le colonne, si fece più scura e si venò di riflessi

fiammanti.

«Ora abbandona la mia dimora.»

Non ci fu bisogno di specificare che sarebbe potuto tornare solo su suo ordine

espresso, nessuno poteva raggiungere quell’inferno di zolfo senza invito.

Lentamente, con un ultimo sforzo dei muscoli, Dogrhabaàl si trascinò carponi verso

lo scranno, mentre da ogni parte provenivano risate distorte e gemiti di sofferenza. Si

issò con fatica facendo forza sui braccioli e alla fine riuscì a sedersi, ma già il vortice

stellare stravolgeva la realtà intorno a lui, strappandolo dal cupo abisso e portandolo

nuovamente nella cripta.

Il peso opprimente sulle spalle scomparve nello stesso momento in cui percepì [come?] la

vasca di calcare e i suoi flutti scarlatti. Percorse celere il cunicolo e poi i saloni coperti di marmi scuri del palazzo, scosso e al tempo stesso entusiasta per le notizie

che portava. [ecco che comincia:] Negli ultimi tre anni, tanto era passato dall’arrivo della prima tribù, i

curlong avevano atteso senza lamentele. Primitivi e superstiziosi, non avevano mai

messo in dubbio il volere di Ukodnos e le disposizioni del suo servitore strappato alle

mani scheletriche della morte. Si erano accontentati di mangiare ratti, pipistrelli, e le

infinite varietà di scorpioni giganti, scarafaggi delle dimensioni di un maiale ed altri

esseri striscianti che appestavano quei luoghi. Non erano mancati innumerevoli

episodi di cannibalismo, una pratica alquanto diffusa fra i curlong, specie in assenza

di razzie nelle terre degli uomini. Le uniche prede dignitose erano stati dodici

minatori catturati sulle pendici meridionali dei Gawathor, condotti in catene alla

Torre di Dogrhabaàl e squartati in onore di Ukodnos. [Capolavoro ineguagliabile dell'Infodump] I curlong più giovani ne

avevano divorato gli intestini mentre i disgraziati avevano ancora fiato per urlare e

lacrime per piangere il dolore di una fine così schifosa.

Ma ora era giunto il tempo di agire, di liberare la rabbia furiosa del suo popolo

mostruoso e soddisfare le brame del dio. Affrettando il passo, raggiunse il portone di

pietra liscia che dava sulla vertiginosa rampa di gradini che salivano verso lo

ziqqurat. Si aprì senza che Dogrhabaàl lo toccasse, scorrendo in uno stridore acuto

che il curlong sembrava non sentire.

Dalla piana sotto di lui, le tribù indaffarate [se non si può essere più chiari, non vale la pena che esista] abbandonarono all’istante le loro

attività [quali? Non è saggio narrare azioni collettive: è sbrigativo, ma non efficace], voltandosi verso la figura magnetica del [“figura magnetica” è l'opinione di qualcuno: il narratore soggettivo fa cadere il sense of wonder, per questo è preferibile che sia oggettivo] [il loro] leader. A malapena riuscivano a

scorgerne i contorni [cambio di pov immotivato, da qui in poi, in maniera altalenante], ma anche da quella distanza se ne intuiva il potere, la forza di

cambiare ciò che lo circondava con la sua semplice presenza. In un batter d’occhi i

capi tribù si radunarono ai piedi della rampa, ma Dogrhabaàl non sembrava

intenzionato a scendere. Rimaneva lì sopra, dritto come una statua, con le braccia

lungo i fianchi e la testa china sul petto.

«Il digiuno sta per finire» la voce dello stregone era nitida, sebbene fosse di

fronte a loro ma a centinaia di iarde di distanza. Rimasero impressionati, ma

immediatamente digrignarono i canini famelici in segno di soddisfazione [narratore soggettivo] . «Ma

dobbiamo prepararci con cura, poiché molti fra gli uomini sono abili guerrieri e i loro

eserciti fanno tremare la terra come valanghe di ferro. Continuate a scavare nel

ventre dei Gawathor, prendete tutti i minerali, forgiate armi di ogni fatta e battete

corazze robuste, nulla deve essere lasciato al caso. La mano di Ukodnos ci guida.»

Seguirono degli attimi di silenzio innaturale [spiegatemi la differenza]: nessuno aveva il coraggio di

prendere la parola per primo e rivolgersi a un interlocutore così lontano. [ennesimo cambio di pov inutile]

«Siamo pronti» urlò Guddan Zah-krol sputando densi fili di bava dalla bocca. Con

tutta probabilità, superava i sette piedi d’altezza e le quattrocento libbre di peso: una montagna di muscoli guizzava sotto la pelle verdastra che a malapena riusciva a

contenerli. Portava una mastodontica ascia dietro la schiena [lol], fissata al nudo torace

con una serie di cinture in cuoio che coprivano un numero infinito di cicatrici

bianche e profonde.

«Gli eserciti degli uomini non ci spaventano, siamo più forti, più combattivi, più

affamati..loro ci temono.»

Il ruggito di Dogrhabaàl lo interruppe.

«Sei un guerriero valoroso, Guddan, e centinaia di uomini sono caduti sotto la tua

lama, pregandoti di avere pietà. [abbi pietà di me con la tua narra-poesia epica!] Stavolta però non si tratta di una razzia, ma

dell’evento decisivo per le sorti della tua gente, della nostra gente. Il mondo

cambierà per sempre il suo volto, e noi saremo il mezzo per questo cambiamento.

Quindi attendi con pazienza, e mantieni viva questa rabbia, perché il giorno in cui

potrai darle libero sfogo è sempre più vicino.»

Quella promessa ebbe su Guddan l’effetto di un sedativo [di nuovo, cambio pov], e si limitò ad un cenno

di assenso con il capo.

«Hai detto che il giorno si avvicina, ma sarebbe un bene sapere se si tratta di un

giorno o di una settimana o anche di un mese.»

A parlare era Aghoc, a capo dei Badrath, che subito incontrò i volti concordi degli

altri capi. Aveva l’orecchio destro stracciato dal morso di qualche bestia o di un altro

curlong [sigh], e, vicino alla stazza di Guddan, sembrava un bambino in compagnia del

padre.

«Non ci è dato di scrutare il disegno ultimo, né il tempo degli eventi. Il nostro

compito è quello di essere pronti ad assecondare il piano dell’Immortale, ma, come

ho già detto, a breve gli uomini soffriranno. Anzi, già da qualche tempo la sua

progenie corporea sta spazzando via castelli e soldati a migliaia di miglia da qui, in

una terra dove scorrono grandi fiumi e i campi producono le messi più abbondanti

del mondo.»

A quella notizia i curlong mostrarono i canini in un ghigno di piacere. [=sorrisero/ghignarono/ a denti scoperti]

Ogni ragione di sofferenza per chi stava dall’altro lato dei Gawathor portava

piacere sul versante opposto, era sempre stato così e sempre lo sarebbe stato. [narratore soggettivo che spara infodump sulla folla inerme]

Aghoc però aveva qualcosa da aggiungere.

«Ho un’altra domanda, se posso.»

«Parla.»

«Mi chiedevo come faremo ad attraversare i monti, che sono coperti dal ghiaccio

eterno anche dall’altro lato, dove in estate il sole brucia la pelle come ortica [infodump dialogistico, che tutto sommato può pure stare]» si interruppe cercando di comprendere la reazione del suo interlocutore. Vedendo che

Dograbhaàl non sembrava infastidito, riprese a parlare.

«Nelle incursioni raramente usiamo più di un centinaio di guerrieri, e parliamo dei

più resistenti fra i curlong, ora invece parliamo di centinaia di migliaia di individui,

coperti di ferro, con rinogrom e altre bestie al seguito. Come faremo a salire fino alle

stelle e poi scendere lungo i sentieri lastricati di ghiaccio, a evitare i crepacci, le

pozze di neve fresca… siamo tanti, forse troppi per questa impresa.»

« E dovremo vedercela con scimmie giganti delle nevi e altri mostri che dimorano

nelle caverne e nei boschi di pino in attesa di prede da sgranocchiare» aggiunse

Goklal, che fino ad allora non aveva proferito parola, ma aveva ascoltato con

interesse quanto avevano da dire gli altri due. [tristissimo cambio di pov inutile]

«Meglio, li squarteremo e mangeremo le loro carni insipide per farci forza durante

il viaggio, noi non temiamo nessuno» lo interruppe Guddan puntandogli l’unghia

scheggiata e ricurva dell’indice verso la faccia.

«Nessuno ci disturberà, nessuno intralcerà il nostro passaggio» sentenziò

Dorghabaàl alzando finalmente il capo. «Non dovete preoccuparvi n[é] delle

montagne, n[é] degli esseri che le popolano» gli occhi gialli si aprirono in modo

fulmineo e si richiusero.

I capitribù assentirono, completamente soggiogati dal magnetismo del loro profeta

nero. A cosa serviva fare domande, dopo quello che era successo? Avevano

trascinato il loro popolo verso la tomba d’ebano di un antico stregone, costretti da

una volontà soprannaturale, impossibilitati a fare altrimenti. Avevano atteso ai piedi

della torre per mesi, scavando tunnel nella roccia alla ricerca di ferro e altri minerali.

Decine di minatori erano morti per le esalazioni gassose e per le polveri, con la

gola bruciata ed i polmoni collassati, ma erano stati sostituiti da altri e poi da altri

ancora. Si erano nutriti di ogni essere che avevano trovato lungo la strada, dei vecchi

padri e dei cuccioli morti. Tutto questo senza mai fare questioni, senza mai pensare

di lasciare quel luogo e tornare negli anfratti più remoti dell’Ulth-baal.

Erano primitivi, rozzi, e temevano ogni cosa per cui non trovavano spiegazione.

Come potevano mettere in dubbio la volontà di un dio e del suo servitore? [apoteosi di narratore senza briglie]

mercoledì 2 novembre 2011

Sui concorsi letterari

coppa concorsi letterari taotorStranamente, in tutti questi anni (4 e più) non ho mai parlato di concorsi letterari in un articolo. Ho accennato qualcosa, ne ho parlato nei commenti, ma mi pare di non aver mai discusso la cosa in maniera indipendente. Questo è il momento.
Desideri trovare un concorso letterario, parteciparvi con un vecchio racconto (o scriverne uno nuovo), dare il tuo meglio e sperare di competere con altri autori e spiccare per il tuo genio creativo? Speri di qualificarti con una buona posizione e di "crescere" tecnicamente, di imparare dagli errori che ti vengono riconosciuti?
Allora non partecipare ad alcun concorso.
Non che io abbia questa grande esperienza. Avrò partecipato sì e no a 15-20 concorsi in tutto. Ma chiunque bazzichi nell'ambiente, o meglio, quelli con un po' di giudizio, potranno confermarvelo.
Non esistono veri e propri concorsi letterari. Persino il Premio Strega è ampiamente criticato.
Stando a quanto ho "esperito", il problema principale dei concorsi letterari è la giuria. Ma prima di arrivare alla giuria, c'è altro da considerare.

Anzitutto, chi organizza i concorsi? E perché?
I concorsi che potete trovare in giro, per esempio su concorsiletterari.net, vengono organizzati in maggior parte dalle svariate associazioni culturali, alias gruppi no-profit legalmente riconosciuti dallo stato, enti di vario tipo, talvolta da scuole pubbliche, spesso dai comuni stessi, ma anche da piccole case editrici. Insieme a questi ci sono i Premi Letterari "propriamente" detti, ognuno con la sua edizione numerata (accompagnati o meno da case editrici o associazioni varie).
Quando un concorso letterario non è un'iniziativa del comune o di qualche altra associazione volta alla promozione di qualche tema, diritti, valori ecc., si tratta di business. In realtà si può trattare di business anche nel primo caso, ma non voglio essere disfattista.
Non è difficile organizzare un concorso. Chiami un paio di amici, un paio di sponsor, scrivi un regolamento, metti un premio (esempio: una coppa o una targa, dal costo di circa 10€) e una quota di partecipazione (esempio: dai 5 ai 20€). Pubblicizzi il concorso e incassi le quote. Se partecipano 50 persone con 10€, sono 500€ solo di iscrizioni. Gli sponsor possono provvedere al resto.
Ecco a voi un metodo per fare soldi facili.
Appurato come sia facile e legale organizzare un concorso, c'è la questione tecnica.
Il regolamento. Ogni concorso ne ha uno. Un regolamento dovrebbe essere breve e chiaro. Si divide in articoli. Presentazione del concorso e dei partecipanti ammessi (nazionale, internazionale, in lingua ecc.), tema (se ce n'è uno) del racconto/romanzo/poesia, lunghezza (in cartelle), modalità di invio dell'opera e del contributo di partecipazione, dettagli vari (penalizzazioni, invio, scadenza) , giuria, premi in palio.
L'80% dei concorsi letterari dimostra incompetenza nel settore della narrativa a partire dal regolamento. Non so se di recente le cose siano cambiate, ma fino a poco tempo fa diversi Premi recitavano:
Il testo non deve superare le 5 cartelle (formato pagina A4, carattere Times New Roman, grandezza 12)
Sebbene la cartella editoriale sia una convenzione, non significa che ogni concorso debba utilizzare delle convenzioni a sé e non rispettare l'originale. E se quella specificazione è diretta a chi una cartella non sa cosa sia, tanto peggio: significa che non c'è un minimo di criterio di selezione delle opere.
La fantomatica giuria non sempre viene presentata. Comunque ricorre sempre la frase: "Il parere della giuria è insindacabile". A volte però la giuria è un insieme di nomi, talvolta seguiti dal titolo "poeta", "scrittore", o "giornalista". Bisogna precisare, a questo punto, che non basta affibbiarsi il titolo di "scrittore" o "poeta" per incarnare le competenze implicate (per fortuna per essere giornalisti c'è un lungo cammino da intraprendere). Ogni paesino ha il suo scrittorucolo o poeta, pubblicato dalla casa editrice del paesino stesso, con una tiratura di 1000 copie (comprate da parenti, cugini e pseudo-intellettuali che seguono le presentazioni nelle librerie e comprano i libri per dare un motivo alla loro presenza lì), copie distribuite addirittura in un paio di comuni limitrofi.
Questo non significa che lo scrittore/poeta sia necessariamente un incompetente. I geni isolati esistono (ne dubito). Ma ognuno può farsi due conti da sé.
Infine, il premio. Non so come funziona, esattamente; ho qualche dubbio su eventuali imbrogli o raccomandazioni. Mi risulta, piuttosto, che coerentemente con l'incompetenza delle giurie il vincitore sia l'autore di una porcata. Nel migliore dei casi, il vincitore è scelto in maniera totalmente casuale.
A volte il premio è una coppa, un attestato o una targa (i premi che io preferisco). Altre volte (Iddio ce ne scampi) il premio consiste nella pubblicazione del proprio racconto in un'antologia (a volte non te la regalano nemmeno). Oppure, "vinci" un contratto editoriale con la casa editrice sfigata del paesino sopracitato (contratto del tipo: tu paghi metà delle spese, e in più ti compri 300 copie, e al resto ci penso io, così se mi va male non ci perdo niente, e se va bene arraffo tutto).

La prospettiva è assai squallida, è vero. Io sono convinto che molti scrittori che partecipano a questi concorsi lo facciano per mettersi alla prova, e non c'è niente di più giusto. Non conta il premio in sé, quanto il riconoscimento, se c'è, o un feedback sulle proprie capacità, in maniera tale da migliorarsi.
Tutto questo però non esiste, o è quasi impossibile da trovare.
Ma non bisogna scoraggiarsi.
Se si vuole davvero scrivere e migliorare, si possono mettere da parte i soldi, sgranchirsi le dita, (leggere qualche manuale di scrittura), e partecipare ai concorsi indetti sul web dagli appassionati. Quando non ci sono interessi, di mezzo, le cose sono spesso più genuine. La fregatura può stare anche qui, è normale. Ma prima di tutto raramente c'è del denaro di mezzo, e poi ci si può benissimo informare sull'ambiente con un paio di click, e valutare se la giuria è composta da gente competente, se il concorso è un'idiozia o una buona iniziativa, ecc.
Un ambiente stimolante si riconosce subito dall'interesse dei partecipanti, e dall'attenzione che si dà al singolo individuo. Ovvero, nei concorsi letterari vogliono principalmente i tuoi soldi; nelle iniziative online si collabora per un bene superiore.

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Link utili:
Concorsiletterari.net, un portale che offre molti concorsi di narrativa, poesia e saggistica.
Concorso per racconti Steampunk, un concorso indetto dal Duca. Rispetta tutti i requisiti di un concorso onesto e costruttivo.
Parlare di narrativa in modo vago, un post del Duca dedicato all'incompetenza dei più quando si tratta di narrativa, e del degrado generale che ammorba la comunità di pseudo-intellettuali.
Interpretazione e gusti, un mio vecchio post riguardo alla critica letteraria discutibile.

mercoledì 26 ottobre 2011

Ipnosi regressiva e psicologia degli allocchi

Mistero mediaset ipnosi regressiva psicologia assassin's creed vite precedenti
Non mi piace scendere a certi livelli, ma in questo caso lo sento come un dovere a nome di tutta la comunità scientifica italiana (ed estera).
Domenica scorsa è andato in onda Mistero, su Italia 1. Lasciamo da parte eventuali commenti sul programma (a cominciare dai video fake di alieni e mostri fatti passare per veri): è intrattenimento, e ognuno ha il diritto di intrattenersi come gli pare.
Nella puntata di domenica scorsa, però, si è parlato di Ipnosi regressiva.

In poche parole, Daniele Bossari ha illustrato la trama del gioco Assassin's Creed (ricordiamo che è intrattenimento, non Super Quark), ovvero del protagonista che, attraverso un macchinario, riesce a ripercorrere gli eventi di un suo avo vissuto a Firenze al tempo dei Borgia, accedendo alla propria eredità genetica, e assiste a ogni episodio di quella vita.
L'argomento del servizio era: si possono ripercorrere vite precedenti?
Dopo una breve "analisi" genetica, Bossari si dirige in un castello dove incontra due persone, il Dott. Marco Chisotti, Psicologo, Psicoterapeuta, Ipnotista e il Dott. Antonello Musso, Medico Chirurgo, medico di Medicina Generale, in Medicina Aziendale, Ipnologo Costruttivista Clinico, Ipnositerapeuta.
Costoro parlano dell'Ipnosi regressiva, attraverso la quale le persone ripercorrono le proprie vite precedenti.
Ci si potrebbe fermare qui e dire: "No, è pura follia che dei professionisti dicano tali boiate".
Andiamo avanti.
Bossari si siede su un divano, ai lati ci sono i due professionisti che lo ipnotizzano, e Marco Berry che sussurra alla telecamera ciò che accade. Per vedere il servizio, ecco i link diretti alla Prima e alla Seconda parte del video, direttamente dal sito Mediaset.
Arriviamo dunque alla trance, in cui il povero Bossari si agita, dice di vedere una battaglia, c'è tanto dolore, grida dappertutto, fa tanto freddo, ecc. Finita l'ipnosi, racconta la sua esperienza.

Parliamo seriamente, adesso.
  1. L'Ipnosi regressiva, lo dice anche Wikipedia con tanto di riferimenti bibliografici, è una pseudo-scienza. Insomma, è magia, è un gioco in cui può credere la gente affascinata dal misticismo, dall'esoterismo, ma esclusivamente per il proprio piacere: non è assolutamente una pratica terapeutica.
  2. Il fatto che a praticarla e a metterci la faccia siano due professionisti, uno psicologo psicoterapeuta e un medico, rende la cosa molto più degradante. Applicando i paradigmi della Psicologia Sociale (scienza autentica), la persuasione in atto, in questo servizio, avviene per opera di influenza sociale da parte di una fonte credibile, incarnata dalla figura dello scienziato, l'esperto. Lo spettatore più ingenuo pensa: "Se a fare questa cosa sono un medico e uno psicoterapeuta, esperti che ne sanno sicuramente più di me, allora dev'essere vero." E questo è sbagliato, perché significa convincere le persone di una cosa evidentemente falsa.
  3. Il fatto che Bossari si sottoponga arbitrariamente all'Ipnosi Regressiva è un ulteriore indizio della già lampante falsità del servizio. Perché? Perché, appurato che l'Ipnosi regressiva non dovrebbe esistere, nell'ambito terapeutico esiste l'Ipnositerapia, diversa dalla regressiva, perché avvalorata da dati clinici e ricerche statistiche. Sebbene non mi senta di esprimermi in merito all'Ipnositerapia, sia a causa di pregiudizi verso la Psicologia Dinamica sia perché non ho competenze in merito, una cosa è certa: Bossari non soffre di alcun disagio o patologia psichica, e questo motivo è più che sufficiente per non affrontare una psicoterapia (ancor di più se la terapia in questione è fasulla). In questa maniera si mette in ridicolo la pratica psicoterapeutica, riducendola a un gioco. Così facendo, persone che soffrono sul serio potrebbero perdere fiducia nella pratica e trascurare eventuali interventi psicoterapeutici di cui potrebbero beneficiare.
  4. Guarda caso, Bossari rivive una battaglia, proprio come in Assassin's Creed. Recita in maniera evidente, e la cosa più triste è che lui e Berry cominciano a parlare dell'esperienza appena vissuta, mentre il medico, a sinistra, sta zitto e lo psicoterapeuta a destra blatera qualcosa a bassa voce ma viene ignorato dai due conduttori che parlano tra di loro con foga.
Il motivo che mi ha spinto a scendere così in basso e a commentare il programma riguarda la difesa della Psicologia quale scienza e la professione di psicologo.
L'Italia è un paese pieno di ignoranza e di paradossi.
Il parere diffuso riguardo alla Psicologia è che si tratti di qualcosa che possono fare tutti, dal parrucchiere al prete. Si pensa che la Psicologia sia solo parlare e interpretare, e che chiunque possa fare lo psicologo, soprattutto il migliore amico.
Niente di più sbagliato. Quella rappresentazione della Psicologia è vecchia di un secolo. La vera Psicologia si affida a metodi scientifici, verificabili, dati statistici, all'interazione con altre scienze (la fisiologia, le neuroscienze...), e via discorrendo. Fra qualche mese dedicherò un articolo interamente sulla Psicologia, su cos'è davvero, ma al momento mi preme che la gente non avvezza all'argomento sappia: la Psicologia non è un'opinione. Così come non è un'opinione la Medicina, la Chimica o la Matematica. Davanti a questioni quali: "è giusto che una coppia omosessuale adotti un bambino?" non esistono risposte basate su opinioni, perché le semplici opinioni non contano nulla, e la scienza si affida a certezze matematiche. Nel caso di questa domanda, la risposta è sì (con l'orrore dei bigotti e dei conservatori, probabilmente), e non perché lo dico io, ma perché lo dicono le svariate indagini, gli esperimenti, i dati effettuati su un certo numero di individui in un certo numero di paesi, messi a confronto con altri dati di controllo.
La scienza funziona così, e non accetta opinioni ma dimostrazioni.
Nel caso di questo servizio di Mistero, è dimostrato che l'Ipnosi regressiva sia una bufala. Ogni sterile opinione non è accetta.

Riguardo, invece, alla difesa della professione di Psicologo, ho ritenuto necessario mettere in evidenza questo fatto per allontanare me e l'intera professione (autentica) dai ciarlatani che scorrazzano nel paese.
Come dicevo, l'Italia è un paese pieno di paradossi. C'è molta gente che non "crede" alla Psicologia, proprio come se fosse una fede invece che una scienza. E, da questo punto di vista, sarebbe come non "credere" alla chirurgia. Cioè assurdo.
I paradossi sono tanti. In Italia si va dallo Psichiatra piuttosto che allo Psicologo, perché sembra più credibile e perché dà le medicine. Si preferiscono i farmaci alla terapia, si chiede all'amico quale farmaco usare in certi casi, piuttosto che al medico, e ancora peggio, ci si informa attraverso Internet sulla salute per poi andare a discutere col medico su quale cura sia meglio intraprendere (con ovvia irritazione del medico). La situazione è ancora più amara se a tutto ciò si aggiunge, poi, la recente figura del counsellor, fantomatica persona che non si fa cosa faccia ma si sa che fa abusivamente lo psicologo pur non avendo né laurea né i mezzi e la cui "professione", ironia della sorte, per qualche cavillo burocratico in Italia non risulta illegale.
Nella grande confusione italiana, è necessario che si difenda la verità con le unghie e con i denti. Da parte mia, spero solo che questo semplice post raggiunga i destinatari e apra gli occhi.

domenica 23 ottobre 2011

Impressioni | Le porte di Anubis, di Tim Powers

Le porte di Anubis Tim Powers Anubis Gates steampunkHo iniziato Le porte di Anubis pieno di aspettative. Lo si citava spesso nelle discussioni sullo Steampunk, in termini abbastanza positivi. Mi incuriosiva ancor di più perché ne parlava il Duca, per esempio qui, dicendo:
Le Porte di Anubis può non piacere come tipo di Steampunk (a me piace pochissimo) ma è Steampunk per definizione perchè la definizione di Steampunk è NATA per indicare quel libro e un paio di altri. Il fatto che sia science-fantasy non retrofuturistica invece di fantascienza retrofuturistica lo rende diverso, ma anche quello è Steampunk. E perlomeno quel libro ha lo spirito delle opere Steampunk, a differenza delle porcate che gli editori sfornano ora.
La sottolineatura è mia.

Gamberetta lo ha citato spesso. Di recente, nell'intervista fatta da Lega Nerd, Chiara dice:
D: Vorrei provare a fare un tuo ritratto basato sui tuoi gusti: scrittori fantasy preferiti?
R: Se si parla di fantasy, i miei preferiti sono: Cuore d’Acciaio di Michael Swanwick, Le Porte di Anubis di Tim Powers, e Un Americano del Connecticut alla Corte di Re Artù di Mark Twain.
Sottolineatura mia, di nuovo.
Con queste premesse, mi aspettavo un gran bel romanzo.
Le aspettative sono state un po' deluse, e sono rimasto sorpreso da questi giudizi nei confronti del romanzo. Ecco perché.
Stilisticamente, il romanzo è appena sufficiente. Lo sviluppo della storia è scontato. L'originalità dei temi casus belli è ottima, ma più che ottima oggettivamente, diciamo che io l'ho ritenuta tale (cos'è originale? Un tema che statisticamente ha una frequenza inferiore rispetto ad altri topoi, in pratica. Non esiste quasi più nulla di nuovo, sicuramente non del tutto: l'originalità sta ormai nella composizione finale dei fattori singoli).
Ammetto che di Steampunk ci vedo assai poco, ma non essendo un esperto del genere alzo le mani e mi fido di quanto detto dal Duca. Appoggio invece la classificazione fantasy data da Gamberetta.

Le porte di Anubis è un romanzo di viaggi nel tempo e magia. Il primo topos è affidato a principi di fisica quantistica illustrati dal personaggio di Darrow in maniera un po' infodumposa (As you know, Bob...), il secondo invece è il motore per tutto il resto del romanzo.
Di steam c'è principalmente l'ambientazione - il salto nel tempo riporta nell'800, e non solo -, e alcuni personaggi storici come Coleridge e Byron.
La magia è l'elemento centrale che fa muovere gli eventi, in quanto sottende vincoli che costituiscono, in toto, il conflitto che ostacola il protagonista fino alla fine. Elementali, evocazioni, ingegneria magico-genetica, e incantesimi più "banalmente" S&S rendono il romanzo prettamente fantasy (o fantastico, come si preferisce).

Lo sviluppo degli eventi è irrilevante. Posti i "misteri" a monte del romanzo, si intuisce tutto, ogni colpo di scena: è una serie di plot twist che non sconvolgono. Io mi reputo un lettore abbastanza distratto, sia perché leggo a intervalli molto lunghi, sia perché talvolta distolgo l'attenzione verso altro, soprattutto se il romanzo mi induce a farlo (leggasi: disinteresse). Ciò nonostante, la mia attenzione fluttuante mi ha permesso senza difficoltà di sciogliere tutti i "nodi", con un po' di rammarico invero. Aspettavo qualcosa di sorprendente che non è arrivato. Solo il twist ending, forse, è arrivato leggermente inaspettato. Ma intuibile ben prima della fine totale.
Nota a margine poco spoilerosa: la donna-camuffata-da-uomo-con-baffi-posticci mi ha fatto cadere i testicoli.

Parliamo dello stile.
Io ho letto il romanzo in italiano: potrebbe essere stato stravolto rispetto all'originale, e in questo caso vergogna al traduttore. Altrimenti, le cose stanno così.
Gli avverbi fiottano copiosamente. Ma a parte questo, nel romanzo spicca un SdT super strambo. A tratti, per esempio, Powers racconta in maniera distratta:
Si vedevano ovunque uomini e donne elegantemente vestiti.
O ancora:
I Lord Ladri stavano entrando in fila, adesso, con i loro abiti di un'eleganza affettata che producevano una nota macabra in quell'ambiente
In alcuni casi, addirittura, il narratore - che mentre leggevo non capivo a quale Pov si riferisse, ammesso che non stesse momentaneamente facendo la parte dell'onnisciente - inferisce lo stato dei personaggi, la situazione, le relazioni, il tutto in un tell assai squallido poetico.
Al di là di essi, e volutamente ignorati, c'erano gruppi di uomini ancora più poveri e oppressi da deformazioni fisiche e psichiche. Stavano accovacciati sulle lastre di pietra negli angoli bui, ognuno da solo nonostante fosse in mezzo agli altri, e farfugliavano e gesticolavano per abitudine piuttosto che per desiderio di comunicare qualcosa.
Ogni tanto compaiono delle similitudini strambe, troppo lunghe e fuori posto:
Romany si accasciò, e la sua già esile fiducia svanì bruscamente come inchiostro fresco lavato via da una pagina da un getto d'acqua gelata.
Non avendo preso appunti durante la lettura, mi è difficile citare tutti gli esempi necessari. Fatto sta, però, che Powers ricorre spesso a lunghe e inutili subordinate che fanno perdere il filo della lettura.
E non è solo lo stile, quanto la lentezza della narrazione ad annoiare. Dipinge scenari che però, nella mente, risultano sbiaditi, perché racconta in maniera approssimativa, più che dipingere schizza, e invece di descrivere oggettivamente si lascia andare in generalizzazioni grossolane.
Ma non è un autore che non sappia proprio mostrare. Nel raccontare in sunto un duello, sa essere tutto sommato chiaro:
Il pupillo di Angelo, il pluripremiato spadaccino noto come il Mirabile Chinnie, aveva ripetutamente eseguito una cavazione dopo un attacco simulato con una parata esterna di sesta sull'altro lato della lama del suo avversario, e questi aveva ogni volta parato con facilità, nonostante non fosse mai riuscito a mettere a segno una risposta su Chinnie.
Ottimo per l'uso di termini tecnici, un po' meno per gli avverbi e per la gestione della frase. Leggete ad alta voce: "aveva ripetutamente eseguito una cavazione dopo un attacco simulato con una parata esterna di sesta sull'altro lato della lama del suo avversario".
Spesso ci si imbatte, durante la lettura, in show dedicati a sottigliezze, per poi perdercisi nel tell approssimativo della narrazione.
Altro punto a sfavore è l'uso dei Pov. Non è coerente. Sebbene sul mio eReader la conversione in ePub potrebbe aver apportato modifiche nei paragrafi che separano le scene, è lampante il fatto che Powers dà i Pov a chi non dovrebbe. Togliendo i Pov ai cattivi, per esempio, il romanzo sarebbe meno prolisso, più efficiente, e soprattutto lineare. L'intervallo tra la narrazione di un Pov e gli altri non è ordinata: l'autore li sfrutta quando ne ha più bisogno, talvolta anche in maniera pittoresca più che utile.

Il tema dei viaggi nel tempo è affascinante. Nelle Porte di Anubis ci sono paradossi da viaggio nel tempo forzati, che però, tutto sommato, sebbene non abbiano motivo di esistere, solleticano l'interesse nello svolgimento della storia. L'aspetto storico non è marginale ma quasi. Ci sono accenni, riferimenti, nel caso del massacro dei Mammalucchi una vera e propria scena d'azione ma, a parte questo, il romanzo si caratterizza più come Avventura-Fantasy, che per ucronia o generica rivisitazione storica.
Ma la zavorra che il romanzo si porta appresso, a mio avviso, è lo stile. Un bel taglio alle parti inutili, una revisione del raccontato e del mostrato, e ne verrebbe fuori un ottimo romanzo.
Ma ha vinto il premio Philip K. Dick del 1983, quindi chi sono io per parlare?